A cosa serve?

Passano gli anni e inesorabilmente si arriva sempre al giorno prima degli esami con studenti schizzati che cercano in giro per Internet le tracce dei temi della maturità (quest'anno circolano foto di fantomatiche prove, il Ministero smentisce … chi avrà ragione? non pubblico i link 1) per non dare ulteriore spago 2) perché il sito in questione ha immagini alquanto discutibili) e tutti gli anni – compreso quello in cui la maturanda (ma non schizzata, non per le meno a cercare i temi d'esame trafugati)  – … dicevo, tutti gli anni mi chiedo:  ma che caspita serve avere prima le tracce del TEMA?  Capisco fossero gli esercizi di matematica, ancora ancora la traccia della traduzione di greco o latino … ma il tema, che ne hai a tua disposizione un numero abbastanza abbondante per trovare almeno una traccia fattibile? Non capisco proprio, se qualcuno volesse illuminarmi …

Ah, in bocca al lupo a tutti i maturandi … e mi raccomando: stasera una bella camomilla, magari cercate qualcosa da fare di divertente, pensate ad altro e domani si va a spaccare

Al ritmo di vuvuzela. This time for Africa.

Comunque io sulle vuvuzela ho una mia teoria. Non sto a spiegare cosa siano perché immagino che tutti ne abbiate sentito parlare in questi giorni. Sono fastidiose per i giocatori (ma accusare questo strumento di essere il motivo di un goal mi sembra alquanto eccessivo), sono fastidiose per i telespettatori, su Facebook impazzano i gruppi che le vogliono bandire dagli stadi, dall'altra parte ci viene detto che è qualcosa tipico della cultura africana e che quindi bisogna accettarle e così …

Dicevo. Non so se anche voi avete notato, quando le telecamere inquadrano gli spalti – anche interi settori – nessuno mai ha in mano o usa questa trombetta.  Per di più il rumore è sempre molto uniforme, in qualsiasi momento. E quando durante l'intervallo si sente la musica in sottofondo, il suono delle vuvuzela quasi sparisce per tornare magicamente all'inizio del secondo  tempo.  E poi diciamocelo, un intero stadio che suona ininterrottamente – e con la stessa intensità – non vi sembra un po' impensabile?

Ri-dicevo, la mia teoria.
Semplice, le vuvuzula non vengono suonate in modo così perdurante dagli spettatori – qualcuna sì, ma non come orchestra- e il loro suono viene amplificato dagli autoparlanti dello stadio o non so come. Diciamo che ho il dubbio che non sia un fenomeno naturale ma montato ad arte per far parlare delle vuvuzela – perché se nessuno ne parlava a seguito delle polemiche dei giocatori avremmo mai saputo  come si chiamavano e che esistevano? – e soprattutto … per venderle. Diciamo una mossa di marketing – azzeccata: che se ne parli bene, che se ne parli male, l'importante è che se ne parli. E visti i giri di affari che ho letto rispetto a questa semplice tromba – e tutti gli accessori anti-vuvuzela mi viene da chiedermi quanto non possa davvero essere così. D'altronde quando un'altra occasione come il mondiale per lanciare un simile business?  Mi starò sbagliando?

E comunque il mio computer in questi giorni sta cercando di imitarle, la ventola parte ogni tanto che sembra ci sia un elicottero in fase di decollo!

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Viva viva i blog!

Sto riscoprendo la voglia e l’affetto verso questa mia discarica virtuale. Ok, il tempo non è tantissimo, ma non è neanche che bisogna scrivere i trattati sui massimi sistemi e nessuno mi corre dietro. Scrivo quando ho voglia, tempo, qualcosa da scrivere. Scrivo quando posso comunicare davvero qualcosa, quando mettendomi nei panni di chi apre queste pagina spero possa trovare qualcosa di utile. Scrivo quando posso dare.

Stasera mi rendevo conto di come Facebook non riesca a sostituire per neanche una virgola la bellezza di aprire questo editor, incominciare a pensare, incominciare a scrivere.

Non poi che passi il mio tempo su Facebook, di questi tempi sotto esame poi mi sto imponendo di aprirlo il meno possibile, magari alla sera quando proprio non studio più, per dare un’occhiata, magari scrivere qualcosa ma niente di più. Ma certo che sono (quasi) tutti lì, su Facebook. E quindi è ovvio che venga naturale usarlo come valvola dei miei pensieri.

Ma appunto, pensandoci bene, il mio blog rimane come qualcosa di insostituibile. E pur se paradossalmente è più accessibile a tanti, mi sembra come parlare nel salotto di casa mia, mi sento più a mio agio. E pazienza, non potete farmi il pollice sù per dire "Mi piace", non potete vedere le mie foto (che non si trovano nemmeno su Facebook comunque): ma potete "vedere" me, potete scoprire come ero quattro anni fa, potete scoprire come ero un anno fa, potete scoprire come ero ieri. E non vi sentite venire su quel certo senso di morbosità nel farlo. Provate a farlo su Facebook. Tutto inghiottito nella grande bocca della balena blu. E poi vai a recuperarlo.

Non so come spiegarlo, ma qui sul blog è diverso. E’ più bello. E’ "mio". Fosse anche solo una foto, una citazione.

Anche su Facebook sono io, nella mia vita cerco di non avere delle maschere pronte all’uso, casa, università, amici, Movimento dei Focolari, Facebook, blog … no, sono sempre io. Con i miei quindicimila difetti e pochi pregi, ma sono sempre io. Cambia chi mi sta attorno, cambia l’ambiente. Facebook mi sembra una grande cappa, mi soffoca.

Il blog invece è un foglio di carta scarabocchiato, magari anche appallottolato. E’ come una serie di quei promemoria gialli, a volte ne servono di più, a volte ci appiccico sopra solo una foto. E poi metto tutto in un cassetto, perché domani potrebbe venirmi voglia di andare a riguardarli. Magari riscoprirò cose che mi avevano già fatto del bene.

E poi mi fa un enorme piacere sapere che qualcuno durante la sua giornata ha digitato l’indirizzo del mio blog, si è ricordato di me, ha "cercato" me. Certo, il contatto è sempre tramite freddi bit, ma ho l’impressione che per l’approccio quelli dei blog siano un po’ più … tiepidi?

Nei blog c’è ancora una "reciprocità" che su Facebook non è mai esistita e forse non potrà mai esistere. Anche qui siamo "uno" a molti, tanti di quelli che passano da queste pagine nemmeno li conosco.

Qualche tempo fa mi è arrivata per mail questo da una lettrice del mio blog (posso Anna, vero? ;-)) con cui spesso si è discorso di questi argomenti:

Ormai se una cosa non viene scritta su facebook non esiste, e se non sei su facebook non esisti neanche tu. Luoghi di vacanza, nascite, matrimoni, battesimi, relazioni sentimentali sono solo "on face". Tutte queste notizie non vengono più comunicate di persona ma scritte in uno stato, inserite in un album, e poi, si taggano gli amici, un bel risparmio di tempo, di soldi, di relazioni..

Anna ha detto no! (non al colesterolo ma a facebook!)

Io nel mio piccolo non ho chiuso Facebook, ma l’ho riportato ad una dimensione più consona. E sto cercando tanti trucchetti per sfruttarlo in modo positivo. Spero di avere il tempo di mettere giù qualche riga perché questa "ricerca" possa essere utile a tanti per riscoprire come me la bellezza di fermarsi davanti ad una pagina vuota e scrivere. La bellezza di prendere un foglio di carta e scarabocchiarci sopra. Di riscoprire le persone accanto a me. Ri-imparare a chiedere "come stai?", imparare a non scrivere tutto quello che mi passa per la testa. Riscoprire di spegnere di più le relazioni "in the facebook" e rintizzare le relazioni "to face". Facebook può mica sostituire un abbraccio! Riscoprire che l’  "amicizia" è una cosa seria e che non si può "collezionare".

Che non troppo in fondo: "w i blog! lunga vita ai blog! ".

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Nuove generazioni

Oggi in Dipartimento c’era il TARM (Test Accertamento Requisiti Minimi). E’ una "formalità" sotto cui devono passare tutte le matricoline di diverse facoltà dell’Università di Torino.

Anche io a suo tempo l’ho dovuto fare, erano domande di logica, inglese, italiano e matematica.

Quindi, come dicevo, oggi il Dipartimento è stato invaso dalle matricoline tutte in ansia per il TARM. Se sapessero cosa gli aspetta dopo non si farebbero tutti questi problemi per qualche semplice domanda il cui risultato non importa a nessuno, ma questi sono dettagli.

La cosa che mi ha lasciato sconvolta è stato lo "stormo" di madri e padri che accompagnavano i figli a questo "grande appuntamento" per la loro vita. Li accompagneranno anche ad ogni esame? A 19 anni suonati non possono andare all’università da soli ma devono per forza essere lasciati al tornello appena prima dei laboratori?

Ma lasciateli "crescere", lasciateli fare le loro esperienze e sbattere il naso! Mi hanno fatto sorridere due di queste matricoline che stavano guardando con aria interrogativa la planimetria antincendio cercando di capire dove fosse l’aula dove dovevano andare e mi hanno fermato per chiedermi lumi.

Ecco, mi sono rivista io la prima volta davanti alla sede del Dipartimento, senza un numero civico a pagarlo oro, senza le targhette placcate che hanno attaccato adesso da qualche mese ad indicare che quelle entrate (e chi le ha viste sa che sono situate in un enorme ma anonimo palazzone alla periferia di Torino, vicino a uffici di assicurazioni e quant’altro e che a prima vista, se non fosse per gli studenti fuori che parlano e sfumazzano non sarebbero assolutamente individuabili come tali) sono quelle del Dipartimento.

In quei due che mi hanno fermato stamattina mi sono rivista io, futura matricolina, prendere coraggio e andare dai ragazzoni che stavano lì fuori a chiedere se proprio lì c’era la sede di Informatica: "e sai anche indicarmi dov’è l’aula?". Io da sola, senza genitori, senza sorelle … da sola a prendere in mano il mio futuro, a sentirmi, perché no, grande.

Veramente queste nuove "generazioni", se me lo si lascia dire, vengono su un po’ … come dire, molli? E non parlo per sentito dire, ho una sorella più piccola (decisamente più piccola) con cui avere un metro di paragone.

Io alla sua età andavo e venivo da scuola da sola e non c’erano santi che tenessero: a lei invece puntualmente c’è sempre qualcuno che la deve andare a prendere e farla attraversare. E la strada è sempre la stessa che facevo io, i pazzi scatenati idem.

Io alla loro età mi portavo a casa lo zaino, quando vado prendere mia sorella invece vedo che ormai quasi tutti hanno lo zaino quello che si traina oppure lo portano a spalle i genitori: ma lasciatelo ai figli! E non dite che gli insegnanti li caricano troppo di roba da portare, con noi non si risparmiavano mica! 

Io alla loro età passavo i pomeriggi a studiarmi, ristudiarmi, provare e riprovare le posizioni del gioco dell’elastico perché il giorno dopo all’intervallo dovevo assolutamente avanzare di livello. Loro passano il tempo a giocare alla Wii, niente fantasia, niente "sacrificio", niente inventiva, niente arte dell’arrangiarsi: muovono un telecomando! 

Boh, sarò troppo critica … ma queste generazioni stanno venendo su proprio un po’ "smidollate", passatemi il termine. E’ non è un bene! 

Come un’ape

A leggere e sentire certe cose mi viene proprio una voglia di prendere una cittadinanza diversa da quella italiana. Sono sconcertata.

Non so a voi, ma a me sembra un po’ come, non so se avete presente la scena, gli ultimi rantoli di un’ape colpita ma non ancora del tutto morta, che non sapendo più che a che santo appigliarsi continua lo stesso a  dimenarsi all’impazzata.

Però sono veramente senza parole e anche un po’ affranta, eh!

Non oso immaginare le risate che si fanno all’estero alle nostre spalle.

ps. qualche giorno fa ho ricevuto la visita su questo blog dalla rete del Ministero della Giustizia … visto come girano le cose, se per caso non mi vedeste più in giro e non aveste mie notizie sapete dove venirmi a cercare … e mi raccomando, la visita ai carcerati fa acquisire punti per il Paradiso!

[Photo credits]

Nulla


Oggi pomeriggio, dopo aver ritentato lo scritto di BD, mentre rimettevo in ordine gli appunti della teoria in attesa di riprenderli chissà quando, ho trovato un appunto che mi era segnata con un bel NB in azzurro nelle prime pagine:

(Il valore) NULL(a) è diverso dalla non esistenza.

Che enorme verità. In un database, ma vale anche nella vita, si può dire, di tutti i giorni. Perché certe realtà possono sembrare anche tanto lontane, ma poi finiscono per concretizzarsi nella vita.

E mi faceva sorridere come a volte siano cose così "umane" (l’informatica!!!) ad aiutarmi a rimettere a fuoco alcuni tasselli importanti della mia vita. Come tutte le cose, guardate anche da prospettive diverse, alla fine sono poi le stesse.

Sembra quasi di trovare una sorta di ordine nel caos.

[La foto – che a dire il vero a me piace proprio tanto – è di Chiara detta "Clorofilla", ed è stata scattata la scorsa estate a Loppiano]

E poi succede sempre così.

Che il giorno del compleanno uno riceva tanti auguri (un "tanto" quest’anno molto relativo) ma da quelle persone da cui magari non te lo saresti aspettato o che non senti da un secolo.

E finisce che manchino "all’appello" le persone con cui si condividono tante cose, vuoi perché per esempio si suona insieme ogni santo venerdì, vuoi perché sono quelle con cui una volta alla settimana si cerca di ridare fiato all’anima, vuoi perché sono quelle con cui ci si pesta i piedi su tante cose … poi certo, questo non vuol dire che non siano mancati gli auguri dalle persone con cui c’è un rapporto più stretto, a cui tengo di più … ma sicuramente c’erano un altro tot di persone da cui, umanamente e forse anche egoisticamente, li aspettavo. 

Poi si, mi faceva sorridere perché sembra quasi come vivere su due estremi: da una parte il "silenzio" e dall’altra tanti modi "personali" e sentiti di fare gli auguri, come quella telefonata mattutina anche un po’ inaspettata, se volete, in "quella forma" o chi ha perso due ore del proprio studio per venire a prendere un gelato in centro pur se mi conosce da tipo un mese ed era uno dei pochi sopravvissuti ad una serie di "rinunce" per quella sera… E in mezzo, come scrivevo stamattina a qualcuno, tanti, troppi complimenti da far arrossire anche la persona meno modesta di questo mondo, tanti arrivati da persone conosciute non più di un mese fa ma con cui sembra di conoscersi da secoli. Qualcuno mi regala lo "schampoo dell’umiltà"?

Poi certo, gli auguri non sono tutto e non lo possono e devono essere. Non sono l’essenziale nei rapporti che dovrebbero andare ben al di là di queste cose "umane" che però, diciamolo, aiutano.
E, ben inteso, non "ce l’ho" con nessuno (e probabilmente anche volendo, i possibili "destinatari" non leggono qui) perché chissà quante volte può essere successo a me e davvero credo che se i rapporti si fermano a questo, beh … c’è da chiedersi che rapporti siano.

Però è stato bello poter "raccogliere" quanto seminato, anche se dall’altra parte viene da chiedersi se forse non abbia sbagliato qualcosa dove non c’è stato, apparentemente, "ritorno". Chissà, forse troppe domande non aiutano neanche e visto che in questo periodo non ne mancano, è meglio non aggiungere a quello che già c’è e lavorare in modo ancora più forte perché il prossimo anno non sia qui a scrivere queste stesse parole