Scusa

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Ieri sono passata a ricaricare la tessera del ToBike.
Nel piccolo ufficio, incastonato nelle viuzze del centro, c’era un po’ di coda.
Chi si abbonava per la prima volta, un nonno che rinnovava, come regalo, l’abbonamento del nipote…

Mi sono messa pazientemente in coda aspettando il mio turno.
Entrata nell’ufficio aspettavo in piedi quando è arrivato un ragazzo e in modo un po’ sgarbato mi ha chiesto se mi vedevo.
‘No, siediti pure tu’. Lui stava lì e si vedeva che era un po’ agitato.
Nel cuore mi è venuto il pensiero di lasciargli il mio posto anche nella fila ma poi…ma poi è arrivato il mio turno e, scacciato il pensiero mi sono seduta alla scrivania dove in fondo dovevo dare soltanto i miei 20 euro, prendere la ricevuta e andarmene.
La ragazza che stava davanti a me ha ripreso il ragazzo, reo di non dare un buon esempio lasciando la ToBike con cui era arrivata ‘parcheggiata’ lì davanti.
La risposta del ragazzo è stata stizzita.
Io nel frattempo assistevano alla scena con un senso di inadeguatezza in cuore: ‘perché ho visto che aveva fretta e non l’ho fatto passare? Perché sono stata così egoista?‘.
Il tempo di finire la domanda che, finita la mia pratica, mi ero già alzata, il più veloce possibile.

A volte perdonarsi è più difficile che perdonare. Uscita dall’ufficio sono rimasta lì sola con il mio pensiero e il desiderio di poter rimediare a quella mancanza.
Già, ma come?
Ho infocarto la bici e mi sono messa a pedalare verso il capolinea del bus, per lasciare la bici allo stallo, uno dei punti di bici più ambito della città, e tornare a casa.

Arrivo, faccio per incastrare la bici che mi si avvicina un ragazzo, che avevo intravisto armeggiare con l’unica bici disponibile. ‘È il cielo che ti manda, l’altra bici non funziona!’.
Un sorriso. Rispondo al sorriso. Lui prende la bici, gli auguro buona serata. Parte e va. E io un po’ più sollevata, con un pensiero: forse anche quel giro in bici non è stato “a vuoto”.

Mentre aspettavo il bus ripensavo a quel ragazzo all’ufficio. Non so come ti chiami, non so perché eri agitato. Ma vorrei chiederti…scusa per non averti fatto passare davanti a me, per essermi fermata ad un pensiero e non averlo tradotto in azione.

A me che serva di lezione la prossima volta: se senti una cosa in cuore, Dani, rischia e falla.

(Foto di Davide F.)

Dalla stessa parte, mi troverai

Pioggia e sole cambiano la faccia alle persone Fanno il diavolo a quattro nel cuore e passano e tornano e non la smettono mai Sempre e per sempre tu ricordati dovunque sei, se mi cercherai Sempre e per sempre dalla stessa parte mi troverai Ho visto gente andare, perdersi e tornare e perdersi ancora e tendere la mano a mani vuote E con le stesse scarpe camminare per diverse strade o con diverse scarpe su una strada sola Tu non credere se qualcuno ti dirà che non sono più lo stesso ormai Pioggia e sole abbaiano e mordono ma lasciano, lasciano il tempo che trovano E il vero amore può nascondersi, confondersi ma non può perdersi mai Sempre e per sempre dalla stessa parte mi troverai Sempre e per sempre dalla stessa parte mi troverai

Cosa meglio di questa canzone di De Gregori può esprimere la felicità di rincontrare dopo tanto tempo chi ha percorso e percorre tratti della tua vita con te. E vedere che tutto può cambiare, ma il volersi bene rimane nel tempo al di sopra di tutto. Come qualcosa che nemmeno il tempo, nemmeno la vita può cancellare. Noi siamo diverse, avendo preso per certi versi strade differenti…eppure tutto sembrava come quell’ultima volta che ci eravamo viste: e tutto ora sembra più prezioso. Che gran cosa che è l’Amicizia!

#3cosebelle

2192oudAttraverso Twitter sono arrivata a questo post, che mi è piaciuto molto. Uno stralcio:

Ho iniziato a cercare 3 piccole cose belle nelle mie giornate perché ci sono molte cose della mia vita che non mi piacciono.
Accantonato il progetto di andare a vivere in Australia, mi ritrovo qui, in uno Stato che non mi piace, a fare ogni giorno la stessa strada, trascorrere spesso giorni monotoni, ogni tanto sentirmi sola.
A un certo punto mi sono resa conto che rischiavo di deprimermi, quindi ho cercato un appiglio, qualcosa che mi facesse sentire che anche la giornata di oggi aveva avuto qualche attimo positivo, che aveva avuto un senso.
Perché se io morissi oggi, vorrei pensare che le 24 ore appena trascorse non sono state del tutto inutili.
Da lì è nato l’hashtag #3cosebelle, che mai avrei pensato potesse darmi così tanti attimi di serenità.
Per prima cosa, ho scoperto che mi piace, ripensare alla giornata appena trascorsa: durante il giorno mi ritrovo a pensare «Ecco, questa potrebbe essere una delle 3», e così involontariamente mi godo di più le piccole cose.

Forse partiamo da punti di prospettiva diversa (chi mi conosce sa che cerco di guardare le cose quando riesco da un lato positivo ), ma l’idea che propone mi è piaciuta molto.

Soprattutto perché prendersi questo “impegno” presuppone guardare le cose nelle loro intere sfumature, cercare di non fare le cose meccanicamente, ma soppesarle. “Sarà una delle 3 cose belle di questa giornata”?

Ma soprattutto, ci aiuta a tornare a guardare le cose con gli occhi dei bambini, ad essere semplici, a ricercare le sfumature delle piccole cose, dei piccoli gesti.

Non posso dire che lo farò ogni giorno, però è un impegno che mi prendo volentieri. E se volete contribuire a far circolare “felicità”, basta twittare qualcosa con l’hashtag #3cosebelle. O altrimenti ogni tanto fateci un giro, vi ruberà sicuramente un sorriso vedere quanto di bello (e a modo suo anche originale) ognuno riesce – a volte con fatica – a cogliere nel proprio tran tran quotidiano! Per ricordarci che non tutto è da “buttare”!

ps: ricopio qui le mie #3bellecose di oggi: il cielo blu turchese che saluta #torino, un mail dal #messico, il sorriso di una bimba al suo papà sul tram

Tutta precisione?

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Un po’ di giorni fa una persona mi diceva che bello voler fare le cose bene e con precisione, ma con pace e senza che questo diventi una cosa fine a se stessa e tanto per farla. ” (…) non come quell’investigatore privato, Dani, come si chiama?”. E lì per lì presa alla sprovvista non sapevo che nome tirare fuori. Mi era piaciuta la sua ricetta:

Ama e fa ciò che vuoi

di Agostiana memoria. E allora da quel giorno cerco (verbo per fortuna inventato per chi come rimane con tutte le sue umane miserie) di fare in modo che anche il voler lasciare la sedia a posto prima di uscire di casa non sia solo un esercizio di precisione, ma un modo consapevole per voler bene a chi passa dietro di me. La foto qui sopra? Tutti i giorni ogni tanto mi viene in mente quella chiacchierata e quell’ utile e provvidenziale suggerimento. Oggi però, ad un certo punto come un lampo, mi è venuto in mente quale era l’investigatore di cui si parlava: Poirot, che tra l’altro è nelle mie assolute letture preferite e di cui in effetti ho però sempre mal sopportato l’estrema pignoleria. Si vede che nella vita per capire le cose mi devo sempre scontrare con i loro estremi.

Un anno dopo

imageUn anno fa ero già ormai a casa. Finito di scaricare le valigie dal Frecciarossa che da Roma mi riportava a Torino.

Un viaggio di 5 ore a riassumerne un altro di 9 mesi, esatti come si trattasse di un parto, quasi. E in fondo un parto in qualche modo lo è stato.

E’ difficile raccontare perché non è stata soltanto un’esperienza fuori casa. E’ stato come se il tempo intorno a me si fosse fermato, come se qualcuno mi avesse preso e messo davanti ad uno specchio per conoscermi. Come se tutto fosse costruito intorno a me, perché tutto, ogni situazione, anche quello che poi dopo ho visto cambiare, io lo dovessi così. Partita all’avventura, non curante di tante cose, un po’ ingenua forse. E’ stato come mettere una linea di demarcazione nella mia vita, un prima e un dopo.

E’ partita una Daniela, ne è tornata un’altra. Come se in quei 9 mesi avessi fatto un viaggio al centro del mondo, al centro del mio mondo. Mi sono conosciuta, scoperta, piaciuta, ripudiata, persa e poi ritrovata. Ho ritrovato una strada che forse stavo perdendo. Ho scoperto il dolore, la scomodità, la difficoltà ma ho forse imparato a sopportare. Mi sarei arresa ad un certo punto, ma alla fine il giro l’ho fatto completo. Ho scoperto l’amore della mia famiglia, ho trovato sul mio cammino una quasi seconda “mamma”, che anche se da lontano mi ha messo più di una volta una mano in testa e mi ha accompagnato come soltanto certe poche persone esterne alla tua famiglia di sangue sanno fare. Tanto, troppo da dire di quei mesi. Tanto, troppo da dire anche di questo anno che è già trascorso dall’ultimo giorno passato a Grottaferrata.

E allora chiudo qui. Ma la strada continua.

Scarpe al contrario

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Raccontavo ad una persona recentemente della mia pausa pranzo, che faccio a casa della “santa” zia, due numeri civici più in là dell’ufficio. Santa perché ha dato le chiavi di casa prima a mia sorella ai tempi dell’università, e ora a me. È un piccolo regalo quotidiano, perchè mi permette di staccare il cervello per un po’. Nei giorni in cui dopo pranzo non vado a fare due passi, volendo ho a disposizione un letto, un divano per riposare, la tv da accendere…quasi il regno dei balocchi! Ma la cosa che mi piace di più, devo ammetterlo, è entrare e trovare i giochi dei miei cugini ad attendermi. Macchinine, lego … oggi il tappetone con gli animali e i numeri. Tutto quello che mi aiuta a ritornare con i piedi per terra, a cercare di prendere le cose e le difficoltà che magari ho lasciato due civici più in là con filosofia. Lo spirito di un bambino che si mette le scarpe al contrario per gioco e ti vuole convincere che le ha messe nel verso giusto. “Dovete tornare bambini”. Aveva proprio ragione.

Sul tram – La cosa più temuta

La cosa più temuta dagli abituali frequentatori dei bus e tram è il vedere alla fermata in cui si sta arrivando una scolaresca distribuita (ma d’estate il discorso allargatelo tranquillamente alle estati ragazzi), più o meno (spesso meno) ordinatamente sulla banchina.
E sperare per un momento che no, non debbano salire lì, dove sei tu. E nella frazione di secondo successiva doversi arrendere all’idea che no, saliranno proprio lì.

E quindi sotto con schiamazzi, maestre, insegnanti, educatori che tentano di tenerli a bada perchè per alcuni salire sul tram diventa quasi come andare alle giostre. Lo spazio è già quello che è, ma loro vorrebbero sempre andare da un capo all’altro per stare con l’amico, “devo dire una cosa a Mattia”…piccoli moti perpetui tra urli, scherzi, musica di Gigi D’Alessio a palla…

Ma il momento topico è quando da un capo all’altro del bus si leva la voce: “scendiamo alla prossima fermata”. E lì scatta il panico, si fa tutto un eco e un “passaparola” vociante in modo che nessuno si dimentichi di scendere.
Poi arriva fialmente la fermata e un altro grido, più perentorio del primo: “si sceeeeende”.
Apriti sesamo. Incomincia una corsa a chi scende per primo, quasi alla fermata ci sia un premio per chi taglia il traguardo.
Ma nonostante questo immancabilmente qualcuno deve essere preso a forza per un braccio e tirato giù. È allora che scatta la frase tipica, dell’accompagnatore1 all’accompagnatore2: “Sono scesi tutti?”. La risposta, 99 volte su 100 è fortunatamente positiva.

E fino alla prossima scolaresca, di nuovo un po’ di quiete. Ma in fondo in fondo: quanto avrei voluto essere uno di quei bambini?