Il mio specchio

Un periodo particolare, quello dell’Avvento.Che insegna ad aspettare, ad attendere. A cercare. A trovare.

Stamattina leggevo questo articolo e … mi sembrava descrivesse alla parfezione e meglio di come mai avrei potuto fare io con le mie parole il turbinio di questo periodo, che forse non capita neanche poi così a caso, forse.

Come mettermi davanti ad uno specchio. Il mio specchio.

L’avvento è attesa, desiderio, sguardo in avanti, speranza. Tempo della preparazione, del già-e-non-ancora, del futuro-presente e del presente-futuro. Tempo degli appuntamenti, degli adolescenti, dei fidanzati, di chi sogna. Tempo del vuoto che non è mancanza, ma attesa, perché vocazione alla grandezza, all’infinito. Non di chi è sazio, ma di chi ha fame e sete di ciò che è più grande di lui.

Tu aspetti Qualcuno che sempre viene. L’hai aspettato l’anno scorso, è venuto, ma lo attendi ancora, perché il tuo accoglierlo ha aperto ancora più  il tuo vuoto per l’esperienza di non poterlo mai contenere.

Tempo dell’amore. Come nel Cantico: “Una voce! L’amato mio! Eccolo, viene saltando per i monti, balzando per le colline” (2,8). “Per le strade e per le piazze, voglio cercare l’amore dell’anima mia” (3,2). “Le grandi acque non possono spegnere l’amore, né i fiumi travolgerlo” (8,7).

L’amore viene. Ma dove? quando? come? con chi?

Non pretendere di definirlo, di catturarlo, di possederlo. Non è una cosa, non si identifica con ore di preghiera, con quantità di denaro dato in elemosina, con studi teologici, con voti religiosi o sacramenti amministrati e ricevuti. È una persona e ogni persona è un mistero da contemplare, indovinare, da cui lasciarsi avvolgere.

Ma anche lui ci cerca, ci attende, ha bisogno di noi. Anche per lui noi siamo mistero, lo sorprendiamo: “Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a  rendere gloria a Dio all’infuori di questo samaritano?” (Lc 17,19). “Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!” (Lc 7,9).

Anche in lui c’è un vuoto che ha bisogno di essere riempito. Siamo fatti a immagine e somiglianza sua e vuole riflettersi in noi, è amore ed è alla ricerca di un amore che gli  corrisponda. Il suo vuoto è una piaga aperta, piaga d’amore che non si chiuderà mai.

Non stancarti di attendere, non dire mai che sei arrivato, che non ti manca niente. Ti mancherebbe tutto.

 

Tutta precisione?

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Un po’ di giorni fa una persona mi diceva che bello voler fare le cose bene e con precisione, ma con pace e senza che questo diventi una cosa fine a se stessa e tanto per farla. ” (…) non come quell’investigatore privato, Dani, come si chiama?”. E lì per lì presa alla sprovvista non sapevo che nome tirare fuori. Mi era piaciuta la sua ricetta:

Ama e fa ciò che vuoi

di Agostiana memoria. E allora da quel giorno cerco (verbo per fortuna inventato per chi come rimane con tutte le sue umane miserie) di fare in modo che anche il voler lasciare la sedia a posto prima di uscire di casa non sia solo un esercizio di precisione, ma un modo consapevole per voler bene a chi passa dietro di me. La foto qui sopra? Tutti i giorni ogni tanto mi viene in mente quella chiacchierata e quell’ utile e provvidenziale suggerimento. Oggi però, ad un certo punto come un lampo, mi è venuto in mente quale era l’investigatore di cui si parlava: Poirot, che tra l’altro è nelle mie assolute letture preferite e di cui in effetti ho però sempre mal sopportato l’estrema pignoleria. Si vede che nella vita per capire le cose mi devo sempre scontrare con i loro estremi.

L’anima libera

GabbianoL’anima libera è rara, ma quando la vedi la riconosci, soprattutto perché provi un senso di benessere quando gli sei vicino. (Charles Bukowski)

Domande, interrogativi. Condivisi, persi. Chiusi a doppia mandata. Là dentro, al sicuro.

Sì, se potessi scegliere qualcosa da “rubarle”, forse sceglierei quella libertà che leggo nei suoi occhi, che sento nelle sue parole, che traspare dalla semplicità dei gesti. Che non nasconde le difficoltà, ma le trova un senso. Quella libertà che sa ascoltare con le “mie orecchie”, che sa parlare con le “mie parole”, che fa sempre l’altro il proprio ‘io’.

Anime che ti innamorano dell’Amore: che te lo fanno vedere, te lo fanno sentire, te lo fanno immaginare, sembra quasi di poterlo dipingere o suonare talmente è bello. Perché loro lo sperimentano, non sono prediche. Umano, spirituale … è solo un aggettivo, qualcosa di secondario. L’Amore resta sempre Amore.

Che sia come un ricominciare, un ripartire da zero, un riscoprire, un nuovo conoscersi. Come se fosse la prima volta. E da custodire.

Penso che … ci saremmo capite

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Cara Chiara Luce, anzi, Chiaretta … devi avere un conto aperto con me, incomincio ad esserne abbastanza convinta!
L’anno scorso, poi questa estate e adesso un’altra avventura…mi sembra che non ti fai proprio mancare occasione per farmi mettere in gioco!

In questi ultimi tempi di assidua frequentazione di Sassello, più di una volta ho pensato quanto avrei voluto conoscerti personalmente, potermi fare la mia idea di te.

E difficile dire che cosa mi affascina di te. Forse la normalità che ti permetteva di essere radicale e “di mondo” allo stesso tempo. Come due opposti che si attraggono e si completano, che non possono stare uno senza l’altro. Ti immagino – e vorrei saper essere anche io – così.

C’è una cosa che sto scoprendo e che mi fa sentire tanto simile a te. Oggi pensavo ad una cosa che mi provocava sofferenza e ho pensato che in fondo anche tu ci hai messo un po’ a dire quel tuo Si.

Forse siamo un po’ uguali (ribelli) su questo. Nelle piccole e grandi cose, il Sì in fondo poi arriva, ma prima c’è da macinare un po’ dentro. Sventrarsi il cuore, sentirlo e vederlo ‘sanguinare’. Dover star un po’ lì, in quello star male, in quella sofferenza. Vederla, guardarla bene. Toccarla. Sentirla. Dargli un nome, una forma. Un po’ come andare giù giù giù e poi …. e poi risalire.

Non ci siamo mai conosciute e così cerco di conoscerti mettendo insieme i pezzi di chi ti ha conosciuto ma penso proprio che sì, ci saremmo capite.

‘Anti’ vs fraternità: da dove cominciare?

Ieri leggendo le notizie del giorno non ho potuto fare a meno di fermarmi su quelle che arrivavano dal mondo arabo, sull’escalation di violenze e proteste scatenate in seguito al film americano e alle vignette ‘anti-Islam’.

Non ne ho potuto fare a meno perché da qualche anno leggere ‘Pakistan’ significa ripensare ad una terra tanto cara ad una persona speciale e che attraverso i suoi racconti (positivi e meno) è entrata in qualche modo, di riflesso, in un certo voler cogliere (a volte per contrasto) quanto di positivo c’è nella vita e nei modi di fare di quei popoli, la famosa ‘foresta che cresce’ al cospetto del rumore che fa l’albero che cade sbattuto sulle prime pagine dei giornali.

Ma non ho potuto farne a meno anche ripensando a certi life-motiv della mia vita, certi sogni, speranze. “Fare agli altri quello che vorresti fosse fatto a te”. Budapest (dove questa frase è stata marchiata su alcune panchine della città) ma non solo, altre mille le occasioni in questi anni per dire, credere, sperimentare che possa questa semplice frase essere un piccolo punto da cui partire.

Ingenua e sognatrice sono, probabilmente. Perché sarebbe bastato che chi ha ideato questo film (o altre volte vignette e qualsiasi cosa) avesse pensato e misurato le sue azioni su cosa avrebbe significato la cosa rigirata al contrario. “Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”.

Proprio l’altro giorno ripensavo ad un pensiero sviluppato in questi anni, che questa frase, per quanto bella, universale, fosse un tantino ‘io centrica’. In fondo la misura per fare qualcosa verso l’altro è me, non il desiderio, il bisogno dell’altro, magari molto diverso dal mio. Ma ieri, riflettendo su questi avvenimenti, mi rendevo conto che quello di prendere come paragone l’altro e non me stesso, capire e agire per i suoi desideri, e non i miei, è un passo ancora oltre, più ‘fine’. Che in certe situazioni mi accontenterei di vedere il rispetto per l’altro, quello che di fondo è mancato in questa e altre vicende simili degli anni scorsi. E che non ammette e non giustifica repliche violente, sia chiaro. Ma che manca da entrambe le parti da tanto, troppo tempo.

E per contro, ogni volta che mi trovo a ragionare su certi avvenimenti, non riesco a non dovermi fare un esame di coscienza. A chiedermi quante e quali volte ho mancato io, in questo aspetto. Nella vita quotidiana, quella di tutti i giorni.

E allora, ancora ingenua, mi ripeto che il mare è fatto di gocce. E se faccio mancare le mie, posso dire e pensare tante cose belle e giuste ma, sarò io a risponderne della loro mancanza.

[ photo by Roberto ]

Il vero amore

In questo silenzio così bello mi sta rispondendo che non ci possiamo fermare, amare, amare tutti, spaccarci il cuore per fare uscire il vero amore, quello nato dal dolore.

(Alberto Michelotti – Alberto e Carlo website)

Quelle vite così semplici da essere così straordinariamente vere, piene, libere.

Esempi ancora oggi.