Una preghiera a Chiara Luce

Chiara LuceIl tuo sorriso, cara Chiara, parla per te. Allora come oggi, dopo tanti anni.

Ti chiedo questo, se puoi: insegnami quella tua normalità che ti faceva essere il cuore sempre in Cielo e con i piedi ben radicati su questa terra.

Quella semplicità che sapeva ascoltare, confidare, mettersi in gioco. Non accontentarsi. Che faceva sentire ciascuno speciale, perché speciale lo era già per Qualcuno.

Ti immagino come in un’onda: quell’onda che una volta approdata alla riva, ritorna indietro incontrando e intrecciandosi alle onde che la rincorrevano.

Ecco, tu l’onda già arrivata. Noi le onde che rincorrono.

Sorreggici quelle volte che ci perdiamo, ci intestardiamo quando i giri sembrano non seguire il percorso tracciato da noi. Che ci sfiduciamo di fronte alle difficoltà, alle sfide che la vita ci mette davanti. Che non sappiamo fare spazio a chi ci sta davanti come fosse la cosa più importante che abbiamo da fare. Che non sempre ricordiamo che abbiamogià, tutto.

“Corri corri dimmi che non c’è, nulla da temere”.

Lo cantiamo tante volte, ma poi a volte non è facile crederlo.
Fa che questa sia la nostra normalità. Fa che un po’ possiamo essere come te.

Contrattempi

Pezzi del puzzleSono davanti al Politecnico, dove ho appena assistito ad una brillante discussione di laurea. Tiro fuori dalla tasca la tessera del ToBike e un po’ di corsa stacco la prima bici che ad occhio mi sembra possa fare al caso mio. Solitamente controllo lo stato delle ruote, che il sellino sia a posto, ma questa volta so che devo muovermi e spero mi possa bastare quest’occhiata generale.

Date le prime pedalate mi accorgo che il sellino non è ben piantato e dentro di me penso: “Ecco. Lo sapevo!”. Un rapido calcolo: riuscirò ad arrivare a destinazione in quella condizione? Il tempo di finire il pensiero e con la coda dell’occhio scorgo un’altra stazione ToBike, piena di bici. La mia “salvezza”.

Riaggancio la bici con il sellino difettoso, ne scelgo un’altra – e questa volta mi assicuro che tutto sia correttamente funzionante. Il tempo di dare la prima pedalata e mi sento chiamare: è L., che mi ha scorto e che sta cercando di farsi vedere.

“Ma guarda, cercavo proprio te. Ho provato a telefonarti ma forse non mi hai sentito … Ero ormai rassegnata a non sapere come raggiungere M. per darle almeno un saluto visto che non sono riuscita ad arrivare per la sua discussione”. “Forse sei ancora in tempo, li ho appena lasciati tutti al bar che festeggiavano”.

L. si avvia verso il Poli, io raggiungo l’università. Al pomeriggio mi manda un sms: “E’ stata proprio una provvidenza trovarti, altrimenti non sarei riuscita a salutare M. perché nessuno rispondeva al cellulare e il Poli è grande!”.

Sorrido. Ripenso allo sbuffo che avevo fatto quando mi ero accorta che il sellino della prima bici non era governabile e mi sarei dovuta cercare una nuova bici. “La vera provvidenza è stata la bici che non era a posto e che mi ha obbligata a fermarmi per prenderne un’altra! Altrimenti non ci saremmo incrociate! ”

Quando anche un contrattempo diventa … una coincidenza e motivo di incontro!

Ciao Prof.

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Mentre l’Italia è alle prese con le sue beghe, il mondo, quello di tutti i giorni, continua a scorrere.

E a volte basta aprire casualmente Facebook per riprendere contatto con una realtà che ti ancora con i piedi per terra. Anzi, che ti rimette in cuore la necessità ogni tanto di alzare lo sguardo.

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Scusa

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Ieri sono passata a ricaricare la tessera del ToBike.
Nel piccolo ufficio, incastonato nelle viuzze del centro, c’era un po’ di coda.
Chi si abbonava per la prima volta, un nonno che rinnovava, come regalo, l’abbonamento del nipote…

Mi sono messa pazientemente in coda aspettando il mio turno.
Entrata nell’ufficio aspettavo in piedi quando è arrivato un ragazzo e in modo un po’ sgarbato mi ha chiesto se mi vedevo.
‘No, siediti pure tu’. Lui stava lì e si vedeva che era un po’ agitato.
Nel cuore mi è venuto il pensiero di lasciargli il mio posto anche nella fila ma poi…ma poi è arrivato il mio turno e, scacciato il pensiero mi sono seduta alla scrivania dove in fondo dovevo dare soltanto i miei 20 euro, prendere la ricevuta e andarmene.
La ragazza che stava davanti a me ha ripreso il ragazzo, reo di non dare un buon esempio lasciando la ToBike con cui era arrivata ‘parcheggiata’ lì davanti.
La risposta del ragazzo è stata stizzita.
Io nel frattempo assistevano alla scena con un senso di inadeguatezza in cuore: ‘perché ho visto che aveva fretta e non l’ho fatto passare? Perché sono stata così egoista?‘.
Il tempo di finire la domanda che, finita la mia pratica, mi ero già alzata, il più veloce possibile.

A volte perdonarsi è più difficile che perdonare. Uscita dall’ufficio sono rimasta lì sola con il mio pensiero e il desiderio di poter rimediare a quella mancanza.
Già, ma come?
Ho infocarto la bici e mi sono messa a pedalare verso il capolinea del bus, per lasciare la bici allo stallo, uno dei punti di bici più ambito della città, e tornare a casa.

Arrivo, faccio per incastrare la bici che mi si avvicina un ragazzo, che avevo intravisto armeggiare con l’unica bici disponibile. ‘È il cielo che ti manda, l’altra bici non funziona!’.
Un sorriso. Rispondo al sorriso. Lui prende la bici, gli auguro buona serata. Parte e va. E io un po’ più sollevata, con un pensiero: forse anche quel giro in bici non è stato “a vuoto”.

Mentre aspettavo il bus ripensavo a quel ragazzo all’ufficio. Non so come ti chiami, non so perché eri agitato. Ma vorrei chiederti…scusa per non averti fatto passare davanti a me, per essermi fermata ad un pensiero e non averlo tradotto in azione.

A me che serva di lezione la prossima volta: se senti una cosa in cuore, Dani, rischia e falla.

(Foto di Davide F.)

Il regalo di Fal

Venditore in spiaggiaFal è un ragazzone di 27 anni del Senegal, dove vive la sua famiglia e dove torna una volta finita la stagione qui in Italia.

Tutti i giorni sulla spiaggia vende borse e borsellini ai bagnanti. E ogni notte dorme lì, in una piccola tenda arancione.

In mezzo al brulicare di bancarelle lo riconosci dal suo cappello giamaicano che usa per ripararsi dal sole.

Il mio papà in questi giorni ha fatto amicizia con lui e l’altra sera, quando abbiamo mangiato in spiaggia, è andato a dargli il suo panino.

È incredibile come a volte bastino poche parole, lo sforzo di capirsi nonostante si parlino lingue diverse, per creare un rapporto. Così finito l’ultimissimo bagno e l’ultimissimo sole, prima di partire siamo andati a salutarlo.
Papà non c’era, era a preparare le ultime cose e così gli abbiamo portato i suoi saluti.
Fel ci ha fermato, ha preso un sacchetto. Ha preso uno dei bei borsellini che vendeva, l’ha imbustato e ci ha detto: ‘Datelo al papà e ditegli: questo è il regalo di Fal’.

Sono rimasta di sasso, perché papà proprio in questi giorni aveva cercato nel mercatino sulla spiaggia un borsellino per sostituire il suo. Non so se lui lo sapesse, ma ho provato a dirgli che non era proprio il caso. Ma mi ha fatto capire che non potevo rifiutare il suo regalo.

Così l’ho ringraziato, ci siamo dati un cinque e noi abbiamo preso la strada del ritorno.

Su quei lunghi metri di spiaggia che separavano dal parcheggio dove ci aspettavano i genitori, non ho potuto far a meno di commuovermi, pensando al dono che portavo tra le mani, alla gratuità di quel gesto. Quel borsellino è il ‘pane’ di Fal e della sua famiglia. E lui, come ‘ringraziamento’ al papà che si era fermato a chiacchierare cn lui, glielo stava regalando.

Ho consegnato il sacchetto al papà, che ha provato a riportarlo a Fal.

Non so come sia andata, so solo che quel borsellino è stato in viaggio con noi verso casa.

A me importa raccontare del vero “regalo” di Fal, il suo grande cuore. Da cui tutti, io compresa e per prima, abbiamo molto da imparare.

Vita in campagna

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Sono in campagna.
In un posto fuori dal paese, fuori dalla città, fuori dal rumore, dalla frenesia. In mezzo ai campi, si potrebbe dire. E non sarebbe una bugia.

Qui le porte delle case sono sempre aperte, i vicini tutte le mattine prendono il caffè insieme, dandosi rigorosamente del lei.
L’ospitalità non è una parola, è consuetudine.

Qui quando parli di computer e provi a spiegare il tuo lavoro devi fare dei salti linguistici non da poco. Ma anche questo è utile, aiuta a dover essere semplici.

Qui la sveglia te la da un gallo, mangi le uova fresche dalle galline, l’anitra e il pollo allevati a due passi dalla tavola: tutto è ‘bio’.

Qui Internet quasi non sanno che cosa sia, ev per cercare il numero della pizza al taglio del paese si usa l’elenco telefonico: e se non c’è si chiama il fratello.
Qui c’è spazio per tutti sulla strada, macchine e biciclette, con una maggioranza di quest’ultime.

Qui sulle staccionate (tutte basse e che si scavalcano con un salto) hanno due ‘cassette’: quella per la posta e quella…per il pane. Ad un certo punto della mattina senti un’ auto che si avvicina, rallenta, si ferma davanti al cancello. Scende il fornaio, infila il sacchetto con il pane dentro all’apposita cassetta. Saluta, risale in macchina verso la prossima consegna.

Qui i bambini si divertono e urlano su di un semplice carretto trainato da un trattore come fossero in giostra.

Qui i rapporti sono importanti, sono essenziali. E le cose si fanno con il cuore, con chi conosci e con chi no. Se passa l’uomo delle immondizie gli offri un bicchier d’acqua e ci scambi due parole.

Ma sopratutto qui il tempo sembra fermo, dove tutto è fatto con tranquillità, nessuna corsa.
C’è il tempo per pensare, per riflettere, per far e ascoltare il silenzio.

Non rinnego la mia vita cittadina, e forse più di un tot non resisterei qui.
Eppure…eppure c’è un che di pace che ogni tanto fa bene assaporare.

Ricercando

Se volessi raccontare il turbinio di pensieri di questo periodo, il percorso che mi trovo a fare, penso che queste parole di Luigino Bruni riescano ad esprimerlo meglio di quanto avrei potuto farlo io.

Forse per la prima volta mi sto interrogando su quali sono i miei talenti e di conseguenza dove e come metterli a disposizione, anche in ambito lavorativo.E allora finisce per accorgersi che forse c’è da deviare il percorso, pensare altre strade. Scappando dalla tentazione di recriminare.
Abbraccio

“Il lavoro è essenzialmente una faccenda di reciprocità, cosa posso far diventare di me, dei miei talenti, un lavoro cioè una cosa che piace agli altri. È una faccenda di reciprocità non di narcisisticità (se a me piace cantare ma non piace a nessuno come canto, non posso obbligare gli altri a pagarmi per cantare), il lavoro significa capire quel che so fare (talenti) e vedere se tra essi ci sono alcuni che soddisfano i bisogni di altre persone e quindi darli al meglio che posso.”

Più forte

BivioLi chiamano bivi. Quei sentieri che ad un certo punto si dividono e chiedono una scelta. Puoi rallentare il passo, puoi eluderli, puoi rimandarli, ma prima o poi loro ti si presentano davanti e ti obbligano ad andare o da una parte o dall’altra. E allora ti trovi lì, con la cartina in mano, a cercare di capire dove porteranno, quale sia “meglio” prendere. E lì ti fermi. Guardi, scruti, pensi. Ti scervelli ma in fondo ognuno porta con sé sfide, probabilità, difficoltà. Ti chiedi quale sia il migliore, ma così, per quello che vedi, non puoi sapere.

Puoi soppesare vari fattori, puoi mettere a bilancia positività e negatività dell’uno e dell’altro. Puoi sentire il parere di chi li hai già percorsi, o ne ha fatti di simili. Puoi guardare alla ragione, puoi guardare al cuore. Ma il bivio è sempre lì, che ti aspetta. E dal cielo difficilmente scenderanno bigliettini con le istruzioni.

Ecco. Ora al bivio ci sono io. Dopo anni spesi nel mondo dell’informatica arrabattandomi dietro ad un monitor in un mare di codici, pigiando tasti e spremendo il cervello forse qualcosa sta cambiando. Così succede che un fatto negativo come può essere a 25 anni trovarsi in cassa integrazione, ti faccia chiedere se, certo non sarà quel bigliettino che tanti problemi risolverebbe, ma almeno sia una buona occasione per pensare di dare un giro, rischiare, uscire dalle più o meno sicurezze costruite per provare qualcosa di nuovo.

Ma certo, la ragione ti direbbe che quello che hai, tienitelo stretto, di questi tempi. Studia, riqualificati come ti han chiesto dove hai già i piedi in questo momento. Vuoi mica essere così incosciente?

Il cuore invece va in direzione opposta. Che forse sia il momento di approfittarne per andare dietro quello che sento essere più mio, quello in cui mi sembra di poter dare di più? Un salto nel vuoto. Rischiare senza sapere se e dove si atterrerà. Anche un po’ per sapermi dimostrare di saperlo fare, di saper non dipendere dalle certezze, di saper superare i sensi di colpa e di dovere.

Cuore e ragione.

Ecco, io sono lì. Cappellino in testa, cartina in mano, borraccia ai fianchi. Ad un bivio. Con tutto il tempo per poter rimediare, perché c’è una cosa sola a questo mondo che non si può risolvere. Tutto il resto è in un modo o nell’altro risolvibile, ma certo le sicurezze sono una prospettiva che ci mettono tranquillità e diciamolo, a volte frenano.

Io continuo ad essere qui, davanti a questo bivio. A dover decidere del mio futuro con una paura matta di farlo. Perchè la paura che abbiamo, sopratutto noi giovani oggi, è quella dell’insuccesso. Dobbiamo essere bravi, belli e di successo. E quindi … e quindi diventa difficile scegliere.

E se non capiamo bene, basta richiedere di spiegarci meglio“. Qualcuno mi ha scritto questa cosa recentemente e mi è piaciuta. Chiederò a chi di dovere di spiegarmi meglio, e se io non sento o non capisco, di farlo più forte. Per trovare il coraggio di riuscire a non voltarmi indietro quando una decisione l’avrò presa.

“Quelli che non camminano per non sbagliarsi, fanno uno sbaglio più grave.” (questa invece è di Papa Francesco)

 

[ photo credit ]

Incontri

leggeroIeri sono uscita dal lavoro come sempre dopo una giornata intensa. Tanti pensieri per la testa e la voglia di arrivare a casa. Mentre mi incammino verso la fermata del tram sento una vocina chiamarmi: “Dani, Dani, Dani“. Mi giro e vedo il cuginetto nel cortile di casa sua, che girando in bici mi ha vista passare. Si ferma, mette giù la bici, va a chiamare la cuginetta che gioca nel cortile. E poi viene ad aprirmi.

Mi saltano addosso e io me li abbraccio.

E poi lui risalta sulla bici e lei va dall’amichetta che stava in cortile con lei.

Io esco e riprendo la mia strada verso il tram con un gran sorriso stampato in faccia e l’anima un po’ più leggera.