Eid Mubarak

Eid al-Fitr

A mano a mano che si avvicina la festa di Eid, o meglio di Eid al-Fitr – la festa che segna la fine del mese sacro del digiuno -, per le strade della città si respira la festa. Tutto si anima di una vivacità aggiunta. Vale la pena la sera farsi un giro per godersi una pioggia di colori, di luci verdi, rosse, oro che rendono belle e scintillanti anche le vie più squallide. Anche di giorno i colori la fanno da re. I negozi sono vestiti da domenica. Le famiglie più povere fanno grandi sacrifici ma, per l’Eid, non possono mancare le scarpe e il vestito nuovo, con, per le ragazze, braccialetti dello stesso colore. Nei giorni di festa si fa visita a parenti e amici, si gode insieme.

(Daniela Bignone – Oltre il velo, nel cuore del Pakistan)

Sono parole, immagini, suoni, instantanee dalla viva voce di chi ha vissuto in diretta, in terra musulmana, la festa che in questi giorni chiude il Ramadan.

Un mese sacro che richiede grandi sacrifici fisici, sopratutto se cade come quest’anno in un periodo dell’anno particolarmente inclemente dal punto di vista delle temperature e della durata delle giornate.

Nelle nostre città multietniche non è difficile entrare in contatto con persone musulmane che in questo periodo seguono il Ramadan, men che meno in una città cosmopolita come è Torino. E ci si rende conto di quanto questa scelta possa rivelarsi quasi eroicamente “controcorrente” perché fatta in una società dove tutto scorre come se nulla fosse. A differenza dei paesi islamici, infatti, i bar, le gelaterie, i punti di ristoro … tutto continua ad essere aperto e, si può immaginare, a “tentare”.

Nel libro sopra citato, l’autrice racconta uno dei, immagino tanti, episodi “positivi” di cui è stata testimone durante il periodo del Ramadam. E mi ha dato lo spunto per fare altrettanto, anche se in contesto e storia ovviamente notevolmente diversi.

Non voglio entrare in discorsi sociologici, nelle mille contraddizioni dell’estremismo islamico, nel frequente sentire “ma loro sono ospiti” etc. Vorrei piuttosto mettere in luce, attraverso due episodi che ho potuto vedere con i miei occhi, alcune riflessioni che mi son sorte. Il grande altruismo e generosità che sembrano non risentire delle restrizioni fisiche; e quell’attenzione profonda che dovrebbe portarci al rispetto verso chi vive quella che per noi è una diversità (declinabile poi in altri mille ambiti). Senza dimenticare questa dimensione (che si può cogliere anche nel brano del libro che apre queste riflessioni) di un momento vissuto “insieme“, che ha la dimensione della comunità.

  • Ho dato una mano per sgombrare una cantina. Fine luglio, un sole cocente, tarda mattinata. E’ arrivato un signore, con un carrettino, chiamato per prendere alcune cose che si stavano dismettendo. Prepariamo tutte le cose da dargli e pian piano gliele portiamo in strada, dove, forse per rispetto, ci aspetta. Scherzando ci dice: “Eh, voi andate a fare tante diete…a noi basta seguire il Ramadan per dimagrire un po’”. Ma non se ne sta lì con le mani in mano, le cose da caricare sono pesanti e non si tira certo indietro dal cercare di allegerire le nostre braccia. Io faccio ancora un ultimo giro, porto su una vecchia macchina da cucire ben pesante che avevamo dimenticato di mettere nel giro. Quando faccio capolino oltre la porta si affretta, nonostante io cerchi di arrivare da sola fino al carretto per non affaticarlo, a venirmi incontro per togliermi dalle mani quel fardello così pesante e se lo carica. Ringrazia, saluta. E poi se ne va. Lo vedo scomparire al fondo della via trainando quel carretto pieno ormai all’inverosimile di ogni genere di suppelletile e oggetti vari.
  • Una giornata molto afosa, decidiamo con la mia sorella di andare in piscina. Quando scendiamo, nel giardinetto davanti a casa noto un ragazzo, il cui colore della pelle tradisce la sua provenienza araba. Armeggia con la fontanella, cercando di aprirla. Senza successo, perché chiusa. Forse per evitare i continui sprechi di chi lascia scorrere acqua in eterno.Mi sono avvicinata e ha cercato di spiegarmi che la fontanella era chiusa. Instintivamente, pensando volesse bere qualche goccia d’acqua per riprendersi dall’arsura, ho tirato fuori la bottiglietta che mi portavo in piscina e, trionfante, gliela porgo. Mi ha fatto un cenno con la mano di rifiuto e solo in quel momento ho finalmente capito che non era il caso di insistere perché probabilmente non poteva bere, ma forse solo bagnarsi un po’. Anche nel nostro giardino abbiamo una fontanella: gli apro il cancello e gli faccio strada. Si bagna la testa, si sciacqua la faccia. Mi fa un sorriso, ringrazia. Riprende il carrellino con le pubblicità che porta nelle nostre buche delle lettere e riprende la sua strada.

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