Una scatola di medicine

tamiflc3ba-rocheEro a casa della nonna e l’aiutavo a sistemare le medicine.
Ha tre grossi contenitori, uno per la mattina, uno per il pranzo e uno per la cena. E dentro ad ognuno le varie scatole delle medicine che deve prendere.
E siccome capita che le metta in disordine, bisogna darci un occhio, ogni tanto. Allora bisogna aprire le scatole e controllare che dentro ci sia effettivamente la cartina di quella medicina.
Così avevo notato diverse cartine con poche pastiglie ancora da usare e molti “buchi”. E’ stato quasi automatico pensare di “bonificare” togliendo tutte la parti già usate per lasciare soltanto la parte ancora da usare. Utile e funzionale all’uso, no?

L’ho fatto per la prima scatola, poi per la seconda. Alla terza però mi sono fermata. “Ma se in realtà tenere la cartina intera serve anche perché sia più semplice prenderla da dentro queste scatole così piccole e strette? E che se io tolgo tutto il resto rimangono dei francobolli che finiscono dentro la scatola e la nonna deve non poco armeggiare per riuscire a prendersi le medicine?“.

Nella mia testa avevo trovata giusta la precisione certosina di lasciare tutto alla nonna pronto in quello che mi sembrava il giusto ordine delle cose. Eppure … eppure guardando le cose da una prospettiva un po’ diversa da quella che mette tutto perfettamente e logicamente a posto, mi son resa conto che quell’azione che a me sembrava “necessaria” e giusta (che senso ha tenere questa cartina mezza usata), vista con l’esperienza di un altro sguardo mi faceva vedere delle “conseguenze” che non avevo minimamente tenuto in considerazione.

Come tante altre volte, mi è sembrata una metafora valida anche per la vita e per i rapporti umani di tutti i giorni. Non è così? Che noi abbiamo deciso per l’altro cosa gli va bene, senza ricordare che quello che è valido per me, non è assolutamente detto che sia la cosa più utile e funzionale, la perfezione anche per un altro.

Vuota e piena

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Oggi, tornando dalla passeggiata, passavo a lato della strada, dove in mezzo c’era il mercato, che avevo appena attraversato ed esplorato. Sicura di aver visto tutto.
Ma da quella nuova angolazione ogni tanto l’occhio cadeva di nuovo sulle bancarelle, viste da una prospettiva però questa volta diversa. Da dietro.
E l’occhio finiva per indugiare su cose che passandoci in mezzo, non avevo visto o non avevo potuto notare, proprio perché nascoste.

Quante volte nella vita è lo stesso? Guardi e riguardi una cosa, la attraversi. Pensi di averla capita e attraversata tutta.
E invece, se cambi prospettiva, se la guardi da dietro, ti rendi conto di particolari che non avevi notato. Di sfumature che non avevi colto. Di storie che possono essere diverse da come le avevi immaginate e ‘capite’.
Oggi al mercato ho capito che non mi devo accontentare di una prospettiva. Quella che fa vedere le cose belle, le sfumature più accese, è quella che vede ‘dietro’. È quella che guarda ‘sotto’, ‘dentro’. E’ quella che passa per il dolore, il non capire, attraverso le proprie paure.

Che ti mettono lì. Vuota, al fondo.
Piena, accanto.

#PrayLiveActForPeace

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Chi non si sente impotente di fronte alla guerra? Chi per un attimo non ha sentito i brividi alla schiena davanti all’idea di un aereo incidentalmente finito sotto il fuoco di due contendenti?
Quell’aereo ci ricorda che la guerra non è affare di qualcuno. È affare di tutti, perché la sua coda non sappiamo cosa e chi raggiungerà.

In questi giorni sui social network si usano tanti hashtag per commentare le notizie che arrivano dal Medio Oriente.
#PrayForPeace, lanciato a suo tempo da Papa Francesco, e  #PrayForGaza.

Chissà che fine ha fatto quell’albero piantato nei Giardini Vaticani nell’incontro di pace voluto da Francesco. Sarà appassito sotto i colpi di mortaio? Dietro le incursioni di terra, le ripicche, le scaramucce e i gridi di battaglia?
Chissà. Ma forse si può ancora salvare. Si può innafiare con un passo, senza aspettare che sia l’altro a farlo. Perché vinca chi per primo incomincia a togliere le pietre del muro di odio.

Certo, sono conflitti complessi, che non si possono risolvere con un post. Ma sono conflitti che fanno solo da specchio ai nostri, ai miei. Quelli ‘piccoli’, di tutti i giorni. Ma on meno insignificanti.

Ecco. Io vorrei lanciare un hashtag nuovo: #PrayLiveActForPeace.

Prega, vivi e agisci per la Pace.
Perché la Pace è una scelta, difficile, audace, eroica, di ogni giorno. Mai scontata. E ad ognuno, me compresa, viene chiesto di farla.
Siamo noi che possiamo scegliere.

E io spero di saperlo fare. Di sapermela conquistare.

La signora Efisia

935737_647018518657380_231095322_nTorno a scrivere qui dopo tanto tempo.
Tante volte avrei voluto farlo ma poi sembrava che mancassero le parole. Non che le abbia ritrovate tutte, alcune giaciono in attesa di essere ripescate. Ma riprendere a scrivere qui è sempre un bell’esercizio, con me stessa.

Giovedì scorso sono andata in ospedale a trovare la nonna, che era lì da qualche giorno per una crisi d’asma.
Mi ha fatto impressione entrare nell’ospedale. Ho percorso tante volte i corridoi alla ricerca di quello giusto dove era la nonna e ho incrociato, guardando nelle stanze, tanti volti, per lo più di anziani.
Mi è venuto un groppo in gola, ma non capivo cosa lo muovesse.

Poi finalmente sono arrivata nella stanza giusta.
Nel letto accanto a quello della nonna c’era una signora con una flebo nel braccio che mi guardava.
Ad un certo punto mi ha detto: “Signorina, mi può fare un favore?”. “Certo!”.  “Mi può girare?”. “Ok”. L’ho girata e dopo mi ha chiesto di grattarle la schiena. Le ho grattato la schiena. Poi ha chiuso gli occhi, come per dormire.
Poi ha riaperto gli occhi e dopo un po’ la scena si è ripetuta.
Quando era ora di andarmene, mi sono voltata e le ho chiesto: “Come si chiama”? Lei mi ha risposto. “Efisia”. “Come scusi?”. “E-f-i-s-i-a”.
E’ una cosa che ho imparato ultimamente, quella di chiedere il nome delle persone che incontro. Mi capita al mercato, ai ragazzi che vendono gli occhiali davanti all’università… Crea un legame, chiedere il nome. Non è più solo un volto, è un universo che ti si staglia davanti e che tu per qualche minuto puoi accogliere dentro di te.
La signora Efisia. Prima di uscire dalla stanza mi ha fatto un grande sorriso.
Mi sono chiesta cosa vuol dire stare nel letto di un ospedale e avere bisogno che qualcuno ti gratti la schiena.
Sono uscita da quell’ospedale sotto la pioggia, senza ombrello. Con negli occhi il sorriso della signora Efisia che si è allargato davanti per ringraziarmi di quel piccolo servizio che le avevo fatto. Sentivo che il mio cuore per un po’ era diventato più largo e per qualche tempo aveva trovato spazio anche la signora Efisia.
Ecco, forse il groppo in gola entrando in quel luogo era la paura di non saper meritare una “vita piena”. Di non sapere avere un cuore largo. Un cuore capace di allargarsi. Che non condanna, che comprende, che accompagna.
Non ne sono capace, conosco i miei infiniti limiti con cui ho a che fare tutti i giorni. Ma almeno ci voglio, ci posso provare.

Non rimpiangere, ricomincia!

Rimpiangere vuol dire piangere due volte. Preferisco ricominciare, sempre e nonostante tutto. (I.L.)

Qualche giorno fa parlavo, davanti ad una pizza, con una persona saggia. Le raccontavo alcune difficoltà, alcuni rimpianti che ogni tanto vengono su cose passate e lei mi ha detto una frase che aveva sentito tanti anni fa: ‘non devi guardare le cose di ieri con gli occhi di oggi’.
Mi sono convinta che ha ragione.
Mi sono convinta che la nostra vita è piena di giri strani, ma solo dopo averli percorsi ci si chiarisce il senso.
Ma serve pazienza e fiducia. E serve saper ricominciare, sempre.

Pattinatori o … pubblico? – ¿Patinadores o público?

CadutaStavamo passeggiando dopo pranzo con la mia sorellina. Mi ha raccontato una cosa che l’ha colpita guardando in questi giorni le gare di pattinaggio alle Olimpiadi. Mi diceva: “Lo sport è davvero un maestro di vita.
Vedi, tu stai facendo la tua gara e ad un certo punto cadi. Ma non puoi stare lì per terra. Ti devi rialzare subito e continuare, nonostante l’errore, nonostante hai ormai compresso la tua gara. Ma soprattutto devi continuare a sorridere, come se nulla fosse successo anche se dentro di te sei arrabbiato, deluso”.

Ha ragione. Quante volte succede anche nella nostra vita? Ho provato ad immaginare la scena e mi è venuta in rilievo un’altra cosa. Che a volte il pubblico, quando intuisce la difficoltà, incomincia ad applaudire per incoraggiare il pattinatore nel tuo rialzarsi.

Ecco. Nella vita ci troviamo spesso nella parte dei pattinatori. Ma possiamo anche trovarci nei panni del pubblico assistendo alle cadute degli altri. Ed è lì che possiamo fare la nostra scelta: essere spettatori, e magari ancora infierire. Oppure diventare parte attiva del ricominciare degli altri incoraggiando, sostenendo e accompagnando, chi è caduto, nel suo rialzarsi.

La mia amica Melisa mi ha mandato la traduzione di questo articolo anche in spagnolo 🙂

Estábamos caminando después de almuerzo con mi hermanita y me contó algo que la impresionó mucho mirando en estos días las competencias de patinaje en las Olimpíadas.
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Win-win strategy

ping-pongIl “dibattito” politico – sempre che così si possa chiamare – di questi giorni, ma in generale di un lungo periodo a questa parte, mi sta proprio dando la nausa. E me la dà per tutta una serie di motivi che però non sto qui ad elencare.

“Tu che mi provochi / io che mi vendico / ti pesto i piedi / ti rodi il fegato / un’escalation di torti / se prendo quel che è tuo distruggi quel che è mio / se mandi i fulmini ti mando al diavolo … ma non mi tornano i conti”

Ecco. Mi sembra si sia arrivati ad un punto di non ritorno. Dispetti, dispettucci, ripicche, “hai cominciato tu”, “no, tu hai continuato”, “eh, ma siamo stati provocati”,  mani che si alzano, insulti gratuiti, quelli che si approfittano per fare i loro interessi e sembra lo facciano apposta, interviste con domande fuori luogo, gente messa alla gogna mediatica solleticando i bassi istinti dell’uomo, e se lo faccio io va bene, se lo fai tu no … la lista sarebbe davvero troppo lunga!  E poi magari andiamo anche alle manifestazioni contro la guerra … ma questa non è una guerra? Mi piace, nel nuovo arrangiamento di questa canzone di cui state leggendo alcune strofe, lo “sfogo” che produce questo continuo conflitto: “Dacci un taglio!”

“Spezzano il filo e allora tu riannodalo / guardano storto e allora tu sorridi / è la vendetta perfetta”

Io mi sto stufando. Mi sento nauseata da tutto questo al punto che non voglio sapere di chi è la colpa, di chi ha cominciato prima. Perché la colpa sarà un po’ di uno e un po’ dell’altro, nessuno se ne può tirare fuori.
Io adesso vorrei soltanto sapere chi ha il coraggio di mettere da parte l’orgoglio per fare il primo passo.
Si, cari politici tutti, azzurri, rossi, verdi, gialli, arancioni, rosa …
Abbiamo bisogno di qualcuno che faccia il primo passo, che, al di là di tutto, sappia costruire e non distruggere, sappia mettere sincerità dove ha messo imbroglio, sappia dialogare e non urlare, sappia togliere le pietre dal muro invece che continuare ad accumularle. A costo di dover “perdere” qualcosa. A costo di venirsi incontro. A costo di ascoltare, a costo di camminare nelle scarpe dell’altro e accorgersi che forse non sono poi così tanto comode.

Io, il mio voto, alle prossime elezioni lo darò a chi saprà ORA darci un taglio, a chi ORA farà il primo passo per invertire questo triste spettacolo e che sappia spezzare questo infinito circolo vizioso in cui ci piace ficcarci, tutti quanti.

“Ma mi hanno detto di una nuova tattica / che non è facile ma in poche mosse da / lo scacco matto ai dispetti / La chiamano così win-win strategy / si vince insieme qui / non paga il muro contro muro! A chi tocca non so / questa volta farà gol / chi per primo comincia a cambiare / chi nel muro vedrà una porta e l’aprirà / forse è poco ma / avrà meno buio nel cuore / A chi tocca non so / questa volta farà gol / chi per primo comincia a cambiare / e dal muro che c’è una pietra toglierà ogni gesto che sa spalancare il cuore”

Le citazioni sono di Win-win strategy, canzone del Genverde che ho preso a prestito e che mi ha dato il senso di “nausa” percepita in questi giorni.

Ricominciare. Sempre.

Metafore di vita.

PallavoloInfine ci si mette anche il punteggio e il suo continuo riazzeramento alla fine di ogni set. Ovvero, pensateci: hai fatto tutto benissimo e hai vinto il primo set? Devi ricominciare da capo nel secondo. Devi ritrovare energia, motivazioni, qualità tecniche e morali. Quello che hai fatto prima (anche se era perfetto) non basta più, devi rimetterlo in gioco. Viceversa, hai perso il set precedente? Hai una nuova oggettiva opportunità di ricominciare da capo.

(lettera di Mauro Berruto, allenatore della nazionale italiana maschile di pallavolo)

Il quarto gancio

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Stavo riposando la chitarra nella sua custodia.
Gancio1 chiuso, gancio2 pure. Il terzo ha fatto un po’ più fatica ma poi è andato.
Ma il quarto no, non ne voleva sapere, perché avevo lasciato la tracolla attaccata e giustamente sporgeva un po’ dalla custodia.

Che fare? La tentazione data l’ora: lasciare tutto così, tanto con gli altri ganci chiusi non sarebbe successo nulla.
Ma poi no. Meglio chiuderla per bene. Ho riaperto il terzo gancio ma niente, non bastava.
Così sono dovuta tornare indietro e aprire tutti i ganci, ho sistemato la tracolla dentro alla custodia e ho richiuso il tutto.

Mi è sembrata la metafora di una vita: a volte quando qualcosa non funziona, anche nei rapporti con le persone, bisogna ‘riavviare’ il nastro, Ricominciare come se nulla fosse successo.