Tsunami politico

Ebbene sì, ultimamente su queste pagine sono tornata a parlare di politica. E in realtà, se solo il tempo me lo permettesse, mi piacerebbe farlo anche in modo più approfondito, ma per il momento mi accontento di riuscire a scriverci sopra qualcosa.

E’ indubbio che le dinamiche e gli equilibri della politica di casa nostra sembra stiano cambiando. Abituati all’opposizione di due grandi poli è nato, con la salita in politica di Mario Monti, un terzo polo capace di attirare e attrarre tutte quelle anime che in questi anni sono state ‘obbligate’ a schierarsi o a destra o a sinistra e che adesso, finalmente trovano una sistemazione più in linea con le proprie idee.

Al di là delle questioni politiche, al di là di quale simbolo andrò a barrare il 24 febbraio capisco anche chi a destra e sinistra storce il naso di questo, perché questi personaggi, mai forse totalmente “realizzati” nella loro appartenenza politica, sono paradossalmente quei gregari (per dirla con un gergo calcistico) che lavorano in silenzio, che pur non riconoscendosi in certe questioni, pur non lesinando critiche, pur magari a volte votando in contrasto con la linea del partito, paradossalmente risultano essere i più “leali” e che tutti vorrebbero avere in squadra.

Sono convinta che la riuscita di un partito, di un associazione, di un movimento, di una qualsiasi realtà aggregativa non è nel mettere insieme persone che dicano sempre di ‘sì’, ma di anime diverse che mettendo in gioco le loro diversità, il loro pensiero collaborino a riuscire a trovare una sintesi che tra la proposta A e quella B faccia nascere C.

Ma poi è anche vero che ognuno di noi, pezzo unico, tende a potersi esprimere meglio là dove si sente realizzato. Così nella vita, così penso che sia anche in politica. Per questo trovo giusto che, ora che il bipolarismo si sta un po’ allargando e che una nuova forza entra in gioco, vengano rimessi in discussione anche gli equilibri che animano l’appartenenza e che ognuno cerchi quel posto dove potersi esprimere al meglio.

Chiudo ritrovando molto il mio pensiero nelle parole di Pietro Iachino, capostipite di questo tsunami che Monti ha fatto abbattere – fortunamente – sul mondo politico italico e che, io sono convinta, non possa che fare bene. Non appoggiarsi sulle certezze è faticoso, ma aiuta a crescere.

Il partito non può essere concepito come una chiesa; o come una famiglia a cui si appartiene dalla culla alla tomba. L’atteggiamento di chi mi chiama “transfugo”, o peggio cerca di squalificarmi moralmente come un
apostata, nasce da quella concezione del partito, davvero sbagliata. Nel 2008 Veltroni mi ha chiesto di portare in Parlamento, nelle file del Pd, le mie idee e proposte; ho accettato, assumendo un vincolo di disciplina di gruppo che ho sempre rispettato rigorosamente nel voto in Senato, anche dopo che il partito
ha cambiato linea nell’ottobre 2009, fino allo scioglimento della legislatura. Però contemporaneamente ho anche assunto l’impegno con i miei lettori ed elettori a continuare a dire sempre liberamente tutto quello che penso, fino in fondo, anche se in contrasto con quello che la disciplina di voto mi imponeva. Se oggi, cessato quel mandato parlamentare, vedo nascere una nuova formazione, che non è un partitino ma un polo a vocazione maggioritaria, che mi consente di conciliare meglio la disciplina di gruppo con le mie idee e proposte, perché mai dovrei sentirmi in colpa per il fatto di scegliere di continuare in questa formazione la mia battaglia nella nuova legislatura, chiedendo ai miei elettori un mandato specifico che legittimi questa mia scelta?

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *