‘Anti’ vs fraternità: da dove cominciare?

Ieri leggendo le notizie del giorno non ho potuto fare a meno di fermarmi su quelle che arrivavano dal mondo arabo, sull’escalation di violenze e proteste scatenate in seguito al film americano e alle vignette ‘anti-Islam’.

Non ne ho potuto fare a meno perché da qualche anno leggere ‘Pakistan’ significa ripensare ad una terra tanto cara ad una persona speciale e che attraverso i suoi racconti (positivi e meno) è entrata in qualche modo, di riflesso, in un certo voler cogliere (a volte per contrasto) quanto di positivo c’è nella vita e nei modi di fare di quei popoli, la famosa ‘foresta che cresce’ al cospetto del rumore che fa l’albero che cade sbattuto sulle prime pagine dei giornali.

Ma non ho potuto farne a meno anche ripensando a certi life-motiv della mia vita, certi sogni, speranze. “Fare agli altri quello che vorresti fosse fatto a te”. Budapest (dove questa frase è stata marchiata su alcune panchine della città) ma non solo, altre mille le occasioni in questi anni per dire, credere, sperimentare che possa questa semplice frase essere un piccolo punto da cui partire.

Ingenua e sognatrice sono, probabilmente. Perché sarebbe bastato che chi ha ideato questo film (o altre volte vignette e qualsiasi cosa) avesse pensato e misurato le sue azioni su cosa avrebbe significato la cosa rigirata al contrario. “Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”.

Proprio l’altro giorno ripensavo ad un pensiero sviluppato in questi anni, che questa frase, per quanto bella, universale, fosse un tantino ‘io centrica’. In fondo la misura per fare qualcosa verso l’altro è me, non il desiderio, il bisogno dell’altro, magari molto diverso dal mio. Ma ieri, riflettendo su questi avvenimenti, mi rendevo conto che quello di prendere come paragone l’altro e non me stesso, capire e agire per i suoi desideri, e non i miei, è un passo ancora oltre, più ‘fine’. Che in certe situazioni mi accontenterei di vedere il rispetto per l’altro, quello che di fondo è mancato in questa e altre vicende simili degli anni scorsi. E che non ammette e non giustifica repliche violente, sia chiaro. Ma che manca da entrambe le parti da tanto, troppo tempo.

E per contro, ogni volta che mi trovo a ragionare su certi avvenimenti, non riesco a non dovermi fare un esame di coscienza. A chiedermi quante e quali volte ho mancato io, in questo aspetto. Nella vita quotidiana, quella di tutti i giorni.

E allora, ancora ingenua, mi ripeto che il mare è fatto di gocce. E se faccio mancare le mie, posso dire e pensare tante cose belle e giuste ma, sarò io a risponderne della loro mancanza.

[ photo by Roberto ]

Sul bus – Primo giorno di scuola

Alcuni dei dialoghi sentiti tra gli studenti stamattina sull’autobus…stanno per riaprire le scuole, yeah!

“Io sarei voluta rimanere a casa per sempre…stamattina ci vogliono gli stecchini per tenermi in piedi”.

“Ma tu ce l’hai il diario?”

“Hai fatto il riassunto, quante pagine hai fatto?”.
“Io ne ho fatte 3 pagine”.
“Io non l’ho proprio fatto”.

” (…) e del museo Egizio che ci raccontavo, che ci sono andato 25 anni fa (…) ” – quando non eri ancora nato allora (nda)

“Stamattina qualcuno mi ha detto: la battaglia è appena iniziata, e tu hai le armi per combatterla”.

“Budapest non dimenticherà questo chiasso” – Genfest 2012

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Raccontare un Genfest non è semplice.
Non è semplice quando l’hai visto nascere e poi, in qualche modo, hai preso un’altra strada. E magari arrivi ora, per lo meno, a ripensare alla superficialità con cui per un bel pezzo forse gli hai dato il benservito, nemmeno poi bene per colpa sua.

Però per fortuna il Genfest non è stata la fiera delle mie paturnie (anche se insomma…), ma l’incontro di 12000 giovani per rifocalizzare tutti insieme, e renderlo visibile, il proprio impegno quotidiano alla fraternità.

Una festa.

Ma anche una carrellata di esperienze personali sull’impegno che tanti giovani ci mettono per vivere questa benedetta fraternità, facile a dirsi ma che nella pratica quotidiana sbatte contro noi, contro le difficoltà, le sofferenze, le ingiustizie…l’elenco è lungo.

E poi un rumoroso e fragoroso flashmob sul Ponte delle Catene di Budapest, incastonato nello splendore e nella suggestione delle luci della notte ungherese, dove tutto si specchia nel maestoso Danubio.
Un ponte che divide, ma sopratutto unisce due città, Buda e Pest.
E che si ritrova nel simbolismo scelto dai giovani, proprio attorno alla figura della costruzione di un ponte.
Il titolo del Genfest2012, “Let’s Bridge, agli anglofoni suonerà sbagliato perché in effetti non significa nulla. Ma forse può stare a ricordare che ognuno ha il suo personale “Let’s Bridge…”. Ognuno sa dove nella sua vita costruire ponti, dove deve sporcarsi le mani.

La bellezza di un Genfest è che porta in sè un messaggio universale, che va bene per me che in Dio credo, ma va bene anche per chi non crede. Perchè la fraternità non è un concetto per pochi, sono quei piccoli gesti quotidiani…una miriade di piccoli gesti quotidiani che ognuno deve, anzi, può compiere per come gli viene chiesto.

Certo. L’esperienza di un Genfest è unica: giri per un’arena piena di bandiere di tutto il mondo che ti danno un respiro più grande, ti sembra di vivere in un sogno, in una cosa bella, la “folla” ti mette adrealina, euforia.
Soprattutto senti la forza di un cammino fatto insieme, di una cordata che non ha bisogno di un dove, di un quando. Sai che almeno altri 11999 giovani come te si sono messi in quella cordata e si stanno mettendo in gioco.

Tutto vero. Ma il mio ponte, i miei ponti non me li possono costruire altri, tocca a me farlo. Quindi forza, che il “bello” comincia adesso.

Budapest, Torino … il mondo non dovrà dimenticare questo chiasso! (Avete riconosciuto la semicitazione?!)

Sul tram – La mamma e il libro

Stamattina seduti qui vicino a me ci sono una mamma con il figlioletto.
La mamma ha in mano uno dei intramontabili libri dell’infanzia di tanti, il ‘Battello a vapore’.
Pagina dopo pagina legge, come se a stesse davvero vivendo, cambiando l’intonazione della voce a seconda delle situazioni, la storia al figlio, che ascolta incantato, non esimendosi però ogni tanto da fermare la lettura per chiedere spiegazioni sul significato di una parola o per commentare l’ultimo passaggio ascoltato.

E io? Per una mattina poso l’auricolare e mi godo un po’ di fanciullezza, peccato dover scendere e non sapere come finisce la storia!

Sul tram – La cosa più temuta

La cosa più temuta dagli abituali frequentatori dei bus e tram è il vedere alla fermata in cui si sta arrivando una scolaresca distribuita (ma d’estate il discorso allargatelo tranquillamente alle estati ragazzi), più o meno (spesso meno) ordinatamente sulla banchina.
E sperare per un momento che no, non debbano salire lì, dove sei tu. E nella frazione di secondo successiva doversi arrendere all’idea che no, saliranno proprio lì.

E quindi sotto con schiamazzi, maestre, insegnanti, educatori che tentano di tenerli a bada perchè per alcuni salire sul tram diventa quasi come andare alle giostre. Lo spazio è già quello che è, ma loro vorrebbero sempre andare da un capo all’altro per stare con l’amico, “devo dire una cosa a Mattia”…piccoli moti perpetui tra urli, scherzi, musica di Gigi D’Alessio a palla…

Ma il momento topico è quando da un capo all’altro del bus si leva la voce: “scendiamo alla prossima fermata”. E lì scatta il panico, si fa tutto un eco e un “passaparola” vociante in modo che nessuno si dimentichi di scendere.
Poi arriva fialmente la fermata e un altro grido, più perentorio del primo: “si sceeeeende”.
Apriti sesamo. Incomincia una corsa a chi scende per primo, quasi alla fermata ci sia un premio per chi taglia il traguardo.
Ma nonostante questo immancabilmente qualcuno deve essere preso a forza per un braccio e tirato giù. È allora che scatta la frase tipica, dell’accompagnatore1 all’accompagnatore2: “Sono scesi tutti?”. La risposta, 99 volte su 100 è fortunatamente positiva.

E fino alla prossima scolaresca, di nuovo un po’ di quiete. Ma in fondo in fondo: quanto avrei voluto essere uno di quei bambini?

Sul bus – La signora del 4

Una delle cose che mi piace del girare con l’autobus è poter vedere tanta gente, tanti mondi.

Sto tornando a casa. Salgo sul 4 e come tutte le volte cerco di guadagnare l’inizio del tram.
Mi sistemo e davanti a me, sulla panchina”, c’è una signora anziana circondata da alcune persone. Lei è visibilmente agitata perchè, scopro, doveva prendere un bus e invece si è ritrovata sul tram sbagliato e deve andare da un’altra parte della città.

Le persone intorno a lei hanno già sollecitato l’autista del tram che ha già chiamato la centrale per capire come fare. Ma le persone che hanno preso a cuore la sua situazione vogliono essere sicuri che si faccia qualcosa; una signora, nel caso GTT non possa far nulla si offre per riaccompagnarla pagandole un taxi, mentre un altro signore sollecita l’ agente di controllo affinchè la cosa venga veramente risolta.
Insomma, tutti si danno da fare e anche a me incomincia a balenare in testa l’idea di accompagnare la signora a casa (col bus).

Intanto lei ci racconta che arriva dal cimitero, dove va tutti i giorni a trovare il marito, morto 30 anni fa. Fa davvero tenerezza.

La situazione si risolve in pochissimo tempo, alla fermata c’è un funzionario GTT che prende in consegna la signora e la riporterà a casa.

Sorrido. Allora non è poi così vero che sempre ognuno pensa solo a se. Non è vero che non sappiamo essere fraterni, farci carico dei problemi dell’altro. No. Lo sappiamo fare.

Piccole grandi lezioni, come quella di questa signora che da 30 anni prende l’autobus e con pazienza va a trovare il marito. Storie di altri tempi, mi si dirà. Forse è vero, ma lasciatemi dire che sono cose che fanno bene al cuore.

Generazione Balotelli

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Siamo un po’ così. Sbarazzini, un po’ irriverenti, a volte sopra le righe. Ma con un gran cuore. Come Mario.

E grazie a chi sa credere in noi nonostante tutto e tutti, ci sa accompagnare per farci essere migliori, per aiutarci a spiegare le ali.

ps: che questa foto sia anche la speranza per tutti i figli di immigrati che si sentono italiani almeno tanto quanto noi.

Anziana ruba un pacchetto di caramelle, il direttore la insegue, gli agenti pagano

MILANO – Era di 78 centesimi l’ammontare di un furto di caramelle commesso da un’anziana, venerdì mattina, in un supermercato. Ma alla fine, alla donna, che ha 76 anni, e che si era detta mortificata di averle prese, gliele hanno regalate i poliziotti intervenuti, sulle prime, per denunciarla. È accaduto in un supermarket Pam in corso XXII Marzo. Il  responsabile del punto vendita, un 37enne, non aveva esitato a rincorrere la donna, a bloccarla e chiamare la polizia. Quando gli agenti di una Volante sono arrivati sul posto, però, la donna, mortificata per quanto fatto e spaventata ha ammesso: «Volevo le caramelle, ma non avevo soldi». A quel punto, in accordo con la direzione, che non ha sporto denuncia, sono stati i poliziotti a pagare le caramelle dell’anziana. Alcuni clienti, presenti in quel momento, li hanno applauditi. [fonte]

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