Contrattempi

Pezzi del puzzleSono davanti al Politecnico, dove ho appena assistito ad una brillante discussione di laurea. Tiro fuori dalla tasca la tessera del ToBike e un po’ di corsa stacco la prima bici che ad occhio mi sembra possa fare al caso mio. Solitamente controllo lo stato delle ruote, che il sellino sia a posto, ma questa volta so che devo muovermi e spero mi possa bastare quest’occhiata generale.

Date le prime pedalate mi accorgo che il sellino non è ben piantato e dentro di me penso: “Ecco. Lo sapevo!”. Un rapido calcolo: riuscirò ad arrivare a destinazione in quella condizione? Il tempo di finire il pensiero e con la coda dell’occhio scorgo un’altra stazione ToBike, piena di bici. La mia “salvezza”.

Riaggancio la bici con il sellino difettoso, ne scelgo un’altra – e questa volta mi assicuro che tutto sia correttamente funzionante. Il tempo di dare la prima pedalata e mi sento chiamare: è L., che mi ha scorto e che sta cercando di farsi vedere.

“Ma guarda, cercavo proprio te. Ho provato a telefonarti ma forse non mi hai sentito … Ero ormai rassegnata a non sapere come raggiungere M. per darle almeno un saluto visto che non sono riuscita ad arrivare per la sua discussione”. “Forse sei ancora in tempo, li ho appena lasciati tutti al bar che festeggiavano”.

L. si avvia verso il Poli, io raggiungo l’università. Al pomeriggio mi manda un sms: “E’ stata proprio una provvidenza trovarti, altrimenti non sarei riuscita a salutare M. perché nessuno rispondeva al cellulare e il Poli è grande!”.

Sorrido. Ripenso allo sbuffo che avevo fatto quando mi ero accorta che il sellino della prima bici non era governabile e mi sarei dovuta cercare una nuova bici. “La vera provvidenza è stata la bici che non era a posto e che mi ha obbligata a fermarmi per prenderne un’altra! Altrimenti non ci saremmo incrociate! ”

Quando anche un contrattempo diventa … una coincidenza e motivo di incontro!

Scusa

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Ieri sono passata a ricaricare la tessera del ToBike.
Nel piccolo ufficio, incastonato nelle viuzze del centro, c’era un po’ di coda.
Chi si abbonava per la prima volta, un nonno che rinnovava, come regalo, l’abbonamento del nipote…

Mi sono messa pazientemente in coda aspettando il mio turno.
Entrata nell’ufficio aspettavo in piedi quando è arrivato un ragazzo e in modo un po’ sgarbato mi ha chiesto se mi vedevo.
‘No, siediti pure tu’. Lui stava lì e si vedeva che era un po’ agitato.
Nel cuore mi è venuto il pensiero di lasciargli il mio posto anche nella fila ma poi…ma poi è arrivato il mio turno e, scacciato il pensiero mi sono seduta alla scrivania dove in fondo dovevo dare soltanto i miei 20 euro, prendere la ricevuta e andarmene.
La ragazza che stava davanti a me ha ripreso il ragazzo, reo di non dare un buon esempio lasciando la ToBike con cui era arrivata ‘parcheggiata’ lì davanti.
La risposta del ragazzo è stata stizzita.
Io nel frattempo assistevano alla scena con un senso di inadeguatezza in cuore: ‘perché ho visto che aveva fretta e non l’ho fatto passare? Perché sono stata così egoista?‘.
Il tempo di finire la domanda che, finita la mia pratica, mi ero già alzata, il più veloce possibile.

A volte perdonarsi è più difficile che perdonare. Uscita dall’ufficio sono rimasta lì sola con il mio pensiero e il desiderio di poter rimediare a quella mancanza.
Già, ma come?
Ho infocarto la bici e mi sono messa a pedalare verso il capolinea del bus, per lasciare la bici allo stallo, uno dei punti di bici più ambito della città, e tornare a casa.

Arrivo, faccio per incastrare la bici che mi si avvicina un ragazzo, che avevo intravisto armeggiare con l’unica bici disponibile. ‘È il cielo che ti manda, l’altra bici non funziona!’.
Un sorriso. Rispondo al sorriso. Lui prende la bici, gli auguro buona serata. Parte e va. E io un po’ più sollevata, con un pensiero: forse anche quel giro in bici non è stato “a vuoto”.

Mentre aspettavo il bus ripensavo a quel ragazzo all’ufficio. Non so come ti chiami, non so perché eri agitato. Ma vorrei chiederti…scusa per non averti fatto passare davanti a me, per essermi fermata ad un pensiero e non averlo tradotto in azione.

A me che serva di lezione la prossima volta: se senti una cosa in cuore, Dani, rischia e falla.

(Foto di Davide F.)

Dove comincia la Pace

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Da ognuno di noi, ogni giorno, ogni momento, in ogni gesto.

Oltre i muri. Aprire un breccia in quelli che ogni giorno costruiamo, anche senza accorgercene.

Capire, comprendere, ascoltare. Scusare, aspettare.

E come al solito lo dico prima di tutto a me stessa.

(Amore che) Tutto copre, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.

La vera forza è rialzarsi

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Alex Schwazer è salito, suo malgrado, agli onori della cronaca la scorsa estate non per la medaglia che avrebbe potuto appendersi al collo e che difendeva, ma per una brutta storia di doping.

Alex ha sbagliato. Oppresso dalle aspettative, dalla paura di non farcela e di non poterle onorare. Chissà, il mondo dello sport, ad un certo livello nasconde sicuramente dinamiche e insidie quanto mai complesse.
Forse si può arrivare al punto di dover vincere, a tutti i costi.
E così si può rischiare di prendere delle scorciatoie che però alla fine (si veda anche il recentissimo caso di Armstrong) possono aiutare fino a un certo punto.

La sua intervista a luglio, o agosto che fosse, mi aveva commosso. Sarò sensibile, sarò sempre illusa, ma vedere quel ragazzotto così fragile confessare piangendo, con la testa bassa, mi aveva fatto compassione.

Ricordo che la cosa che mi aveva colpito era quel dire che in fondo lui quel controllo con cui l’avevano pizzicato l’avrebbe potuto saltare, era un suo diritto.
Ma quella menzogna che si portava dentro era ormai diventata troppo pesante.

Nessuno può negare lo sbaglio, ma in quella immagine c’era un uomo che consapevole del proprio errore si metteva alla gogna, con l’umiltà. A differenza di chi per anni ha fatto la voce grossa, si è difeso sprergiurando e facendo terra bruciata intorno a chi provava ad insinuare il più piccolo dubbio.

Quella conferenza stampa e l’intervista che Alex ha rilasciato ieri su La7 andrebbero fatte vedere nelle scuole, nei gruppi sportivi. Andrebbero fatte vedere da ogni genitore ai propri figli.

La storia di Alex ci insegna che non siamo perfetti, che possiamo sbagliare.
Ma sopratutto che la noatra forza non sta nel non sbagliare mai, ma nel saper riconoscere il proprio sbaglio e darsi una seconda possibilità, quella di Ricominciare.

Forza Alex, adesso è l’ora di rialzarsi! La medaglia più bella la potrai conquistare adesso!

On the road – L’accompagno io

Stamattina a Torino nevica.
Ero quasi arrivata in ufficio quando mi sono imbattuta in una signora filippina che chiedeva informazioni ad un signore. Inizialmente lui aveva capito che lei volesse andare al centro immigrazione e così le ha indicato la porta di ingresso, ci erano praticamente davanti.

Lei però gli dice che no, sta cercando l’ufficio della guardia di finanza. Insomma, interpretando un po’ quello che dice capiamo che sta cercando l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate. Che si, è in zona.
Il signore cerca di spiegarle la strada ma si rende subito conto che la signora fa difficoltà ad orientarsi.
“Ma guardi, l’accompagno io così non si perde”.
Io proseguo per la mia strada, loro li vedo perdersi dietro l’angolo.

Piccoli gesti.

Perfettamente in fila

Tutti i giorni passo davanti al centro immigrazione.
È sempre un via vai di persone, facce che raccontano di mille storie, mille esperienze, fatiche, speranze e sogni.

Qualcuno che corre perché in ritardo, con tutti i documenti in mano, o quando va bene dentro ad una cartellina. Altri che magari si son dimenticati la fototessera per i documenti e che se ne fanno fare una al volo al chioschetto ambulante che staziona davanti alla porta di ingresso, con i suoi odori (puzza di fritto solitamente) e la sua musica sparata a tutto volume. Basta sedersi su uno sgabello di plastica con dietro uno sfondo bianco, e il fido ragazzo che fino a tre minuti fa cucinava nel suo centimetro quadrato si arma di una digitale compatta e ti scatta una foto. Poi te la stampa con la stampante et voilà, ecco la tua fototessera. Tutto molto improvvisato.

Questo angolo è proprio un piccolo pezzo di mondo, e non solo per le variegate lingue che capita di sentire, o per i diversi colori che capita di vedere.

Stamattina arrivando ho visto una coda di ragazzi africani che sfidando il gelo di questi giorni aspettavano di poter entrare.

Le conoscete quelle grandi ammucchiate all’italiana? Quella dell’entro prima io, ero in coda da quindici anni, lui mi teneva il posto, non sai chi sono io, etc. L’avete presente? Chi non l’ha mai vissuto una volta, in banca, al supermercato, alla posta …
Ecco, per un attimo dimenticate tutto ciò e immaginatevi tanti ragazzoni in fila, uno per uno, con una grande compostezza, con ordine.
Nessuno che cerca di saltare la fila, nessuno che protesta o sovrasta gli altri.

Mi sono fermata a contemplare quella bella immagine e gli ho lasciato un sorriso.

E’ vero, l’educazione e il rispetto delle regole non hanno nazionalità. Ma stamattina mi dicevo che noi italiani avevamo qualcosa da imparare.

Incontri digitali

Ogni tanto succedono episodi di incontri ‘digitali’ che lasciano un misto tra sorpresa e inquietudine.

Due episodi su tutti, entrambi recenti.

1 settembre.
Sono a Budapest al Genfest, in compagnia di almeno altre 12000 persone (stima per difetto). Nel programma serale facciamo una allegra sgambettata di qualche chilometro nel centro di Budapest verso il ponte delle Catene. Una volta lì sopra facciamo un flash-mob, forse il più grande mai fatto su di un ponte.
Uno dei gesti da fare è quello di scambiarsi ripetutamente delle sciarpette con chi ci troviamo vicino e così tutti facciamo.
Ad un certo punto, in questo turbinio di mani che si muove, faccio per scambiare una delle sciarpette ricevuta al giro precedente con un ragazzo avvolto nella sua grande bandiera spagnola.
Mi guarda e mi dice: “ma lo sai che io ti seguo su twitter?”.
Ora ripeto: eravamo 12000 persone, non 4 amici al bar.
Sono rimasta sconvolta per un bel 10 minuti: in mezzo a tutta quella gente ho incontrato uno che non conosco che mi ha riconosciuta come uno dei suoi following.

29settembre.
Anzi, a dire la verità il tutto comincia il 28.
Sempre su Twitter cerco la conversazione dsl joomladay, a cui avrei partecipato il giorno successivo.
Trovo un tweet di ‘ziopal’ che tra le altre cose ha postato la foto della Metro di sempre tutto finisce lì.
Il giorno dopo, ed eccoci al 29, giorno del JoomlaDay; salgo sul mio tram che fortunatamente mi permette di arrivare al PalaIsozaki abbastanza velocemente.
È sabato mattina, sono le 8.30, il tram è mezzo vuoto. Ad un certo punto salgono due che si piazzano davanti a me.
La deformazione ‘professionale’ mi fa squadrare loro e chi vedo salire per capire se stanno andando dove vado anche io.
Si, una rapida occhiata mi fa propendere per una risposta affermativa.

Poi tirano fuori lo smartphone, danno un’occhiata a twitter, qualche commento su tweet che scorrono nella loro timeline. Discutono sul fatto che il programma del mattino sarà poco interessante (e non avevano torto) e intusco che uno di loro sarà relatore del pomeriggio.
Io scendo, loro forse alla fermata successiva.
Perchè vi ho raccontato queste due storie?
Perchè al pomeriggio quando viene presentato come relatore ‘zioPal’, quello con cui avevo twittato la sera precedente, metto insieme i pezzi: era uno di quei due che stavano davanti a me sul tram! o_O    Allora gli twitto raccontandogli il nostro ‘incontro’ la mattina (con tutti i tram e tutti i posti dove ci si poteva fermare … ) e lui non collega subito la cosa, ma rimette insieme i pezzi qulche tweet più tardi. Una storia da romanzo la chiama. Beh, non ha tutti i torti.

Ecco la sorpresa mista ad inquietudine di questi 2 episodi.

Da una parte la sorpresa di incontrare senza accordo persone con cui si hanno interazioni virtuali.

Dall’altra l’inquietudine di dovervi dire, attenzione: il mondo è più piccolo di quello che sembra.