E se …

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Papa Francesco ci ha insegnato che il suo modo di agire non segue un canovaccio di cui bisogna a tutti i costi trovare un senso. È molto istintivo e poco calcolatore, anche se usare bene gli strumenti che ha a sua disposizione.
Ma per una volta voglio fare un po’ la complottista nei suoi confronti, me lo perdonerà. Ecco, ho una piccola grande convinzione: che a Papa Francesco non dispiaccia molto essere in questo giorno di fiumi di parole e talvolta di retorica ‘nascosto’ al mondo in quel di Ariccia per gli esercizi spirituali di quaresima. E in fondo in fondo ho la sensazione che non sia proprio un caso.

Ovvio che non posso esserne sicura, ma non mi stupirei se scoprissi che questo essere ‘lontano’ dai clamori mondani oggi sia stato voluto sapientemente  mixando le congiunture di calendario.

Sarebbe un segno molto forte.

Due mondi in una spiaggia

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Questi giorni al mare portano dietro tante immagini, tanti suoni, tanti odori.

Ci sono però delle istantanee che in questo momento si fermano davanti agli occhi più di altre.

Lungo la spiaggia (che si estende su diversi chilometri), in diversi tratti, appena oltre il bagnasciuga si può fare lo slalom tra bancarelle di ogni genere.

Sembra di essere in un grande mercato all’aperto dove si può trovare di tutto: vestiti, braccialetti, borse, cappelli, custodie per cellulari, occhiali, cinture, giubbotti…

Ho camminato in questi giorni tante volte in mezzo a questo ‘corridoio’, comprando anche qualcosina. È un brulicare di persone che in costume, facendo una passeggiata, si ferma a guardare o a provare questo o quell’altro oggetto esposto.

Ho provato a guardare oltre, ai volti di questi uomini e donne che passano la loro giornata qui, nella speranza di metter su qualche soldo. E spesso, devo dire con un po’ di fastidio, li ho sentiti trattare male da chi alla fine cerca solamente lo sconto, come se il colore diverso della pelle fosse un buon motivo per doverlo ottenere.
Nel mio piccolo sono stata contenta di aver potuto comprare qualcosina da loro, che oltrettutto hanno anche sopportato il mio essere esigente, in fatto di vestiti.
E invece con calma e con un sorriso non si sono mai sottratti dal tenermi lo specchio, dal mostrarmi quel o quell’altro vestito o gonna di cui ero alla ricerca, non fare problemi per cambiare il colore di un capo, anche dopo l’acquisto.

Ed è stato bello poter scambiare con loro di parole, fare una battuta, chiedere il paese di provenienza. E così, siccome le passeggiate sono state frequenti, passando e ripensando, ormai con alcuni ogni volta ci si saluta.

Ma è quando la spiaggia si incomincia a spopolare, quando la luna fa capolino all’orizzonte sul mare e aria si fa fredda che si può raccontare la vera storia di queste persone che incominciano pian piano a vuotare le bancarelle. I più fortunati, dopo una giornata passata in piedi hanno da qualche parte una bicicletta un po’ scassata che aspetta loro e il saccone azzurro, grande quasi quanto loro, dove hanno racchiuso tutta la loro mercanzia.
I meno fortunati radunano le loro cose contro le reti di protezione che delimitano la spiaggia libera dagli stabilimenti. E dopo magari essersi sgranchiti le gambe con un po’ di ginnastica o dopo essersi inginocchiati per la preghiera, si cercano un cartone e si preparano per l’ennesima notte da dormire lì in spiaggia, riparati da una coperta.
Ma prima si armano di sacco azzurro e puliscono la spiaggia raccogliendo tutte le sporcizie lasciate dai bagnanti durante la loro giornata di sole e mare. E fanno questo probabilmente senza nessun ‘ritorno’.
E se tu li imiti, loro si offrono di prendertela e buttarla al posto tuo.

Li abbiamo visti le sere che ci siamo fermati a mangiare in spiaggia…e non sono mancate nascere domande incalzanti davanti a quelle scene.
Viene spontaneo porgere loro un panino, come ha fatto il mio papà, ma non può bastare a placare una sensazione di inadeguatezza che invade, perché quel panino vorresti moltiplicarsi per tutti.

Sembra quasi di vedere i contrasti frustranti della ‘corona di spine’ delle favelas delle grandi città sudamericane: la gente che si diverte in mare, che compra le pesche a 3.50 dal camioncino che va avanti indietro per la spiaggia, che si fa lasciare davanti al corridoio della spiaggia da n Suv o che sfreccia con la sua barca per la laguna. E dall’altra loro, che dal camioncino ‘comprano’ due banane, che la notte la passano in spiaggia e che la sera contano una dietro l’altra le monete che sono riusciti a racimolare nella giornata.
Due mondi a contrasto, uno di fianco all’altro. Anzi, uno dentro l’altro.

E allora ti viene da chiedere che cosa hai fatto tu per essere da una parte, e loro dall’altra. Domande che non hanno risposta.

Si percepisce una dimensione diversa: sbaraccando uno canta, l’altro sorride. Si vede un senso di ‘comunità’ che è il condividere insieme un destino, un pasto portato da una di loro che che una borsa frigo gli porge per pranzo una scatoletta di alluminio con qualcosa dentro.
Riescono ad essere felici con poco.
Tu guardi, osservi, ti senti impotente. E tutto stride in cuore. Tutto prende una dimensione diversa.

Eid Mubarak

Eid al-Fitr

A mano a mano che si avvicina la festa di Eid, o meglio di Eid al-Fitr – la festa che segna la fine del mese sacro del digiuno -, per le strade della città si respira la festa. Tutto si anima di una vivacità aggiunta. Vale la pena la sera farsi un giro per godersi una pioggia di colori, di luci verdi, rosse, oro che rendono belle e scintillanti anche le vie più squallide. Anche di giorno i colori la fanno da re. I negozi sono vestiti da domenica. Le famiglie più povere fanno grandi sacrifici ma, per l’Eid, non possono mancare le scarpe e il vestito nuovo, con, per le ragazze, braccialetti dello stesso colore. Nei giorni di festa si fa visita a parenti e amici, si gode insieme.

(Daniela Bignone – Oltre il velo, nel cuore del Pakistan) Continue reading

Incontri

leggeroIeri sono uscita dal lavoro come sempre dopo una giornata intensa. Tanti pensieri per la testa e la voglia di arrivare a casa. Mentre mi incammino verso la fermata del tram sento una vocina chiamarmi: “Dani, Dani, Dani“. Mi giro e vedo il cuginetto nel cortile di casa sua, che girando in bici mi ha vista passare. Si ferma, mette giù la bici, va a chiamare la cuginetta che gioca nel cortile. E poi viene ad aprirmi.

Mi saltano addosso e io me li abbraccio.

E poi lui risalta sulla bici e lei va dall’amichetta che stava in cortile con lei.

Io esco e riprendo la mia strada verso il tram con un gran sorriso stampato in faccia e l’anima un po’ più leggera.

Oltre il velo nel cuore del Pakistan. Un invito al dialogo che va oltre

Copertina di Oltre il velo nel cuore del Pakistan

Oltre il velo nel cuore del Pakistan – la copertina

Allacciate le cinture, si parte: destinazione Pakistan!

Quello che Daniela Bignone propone nel suo libro “Oltre il velo nel cuore del Pakistan” (Città Nuova Editrice, 9 euro) è un viaggio da “mille e una notte” nel cuore del Pakistan: a volte un po’ spericolato, ma al tempo stesso affascinante e delicato, alla scoperta di una terra che l’ha accolta per lunghi 23 anni. Un viaggio vissuto sulla propria pelle, in prima persona. Donna, occidentale, cristiana: ecco gli ingredienti più paradossali con cui si è presentata nella sua “avventura” e con cui ora la racconta, ce la dipinge attraverso i suoi occhi. Per dare voce ad un popolo, per farci entrare nel profondo di una terra che conosciamo, spesso, dalla sola angolazione che ci viene presentata dai media (quelle poche volte che ‘fa notizia’, a dire il vero). Non solo per dirci c’è un altro Pakistan, che ha vissuto ed è diventato parte di lei. Ma come invito ad un dialogo che va oltre e sa scoprire la ricchezza della diversità.

Ecco una piccola “recensione”, se così la si può chiamare!

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Tsunami politico

Ebbene sì, ultimamente su queste pagine sono tornata a parlare di politica. E in realtà, se solo il tempo me lo permettesse, mi piacerebbe farlo anche in modo più approfondito, ma per il momento mi accontento di riuscire a scriverci sopra qualcosa.

E’ indubbio che le dinamiche e gli equilibri della politica di casa nostra sembra stiano cambiando. Abituati all’opposizione di due grandi poli è nato, con la salita in politica di Mario Monti, un terzo polo capace di attirare e attrarre tutte quelle anime che in questi anni sono state ‘obbligate’ a schierarsi o a destra o a sinistra e che adesso, finalmente trovano una sistemazione più in linea con le proprie idee.

Al di là delle questioni politiche, al di là di quale simbolo andrò a barrare il 24 febbraio capisco anche chi a destra e sinistra storce il naso di questo, perché questi personaggi, mai forse totalmente “realizzati” nella loro appartenenza politica, sono paradossalmente quei gregari (per dirla con un gergo calcistico) che lavorano in silenzio, che pur non riconoscendosi in certe questioni, pur non lesinando critiche, pur magari a volte votando in contrasto con la linea del partito, paradossalmente risultano essere i più “leali” e che tutti vorrebbero avere in squadra.

Sono convinta che la riuscita di un partito, di un associazione, di un movimento, di una qualsiasi realtà aggregativa non è nel mettere insieme persone che dicano sempre di ‘sì’, ma di anime diverse che mettendo in gioco le loro diversità, il loro pensiero collaborino a riuscire a trovare una sintesi che tra la proposta A e quella B faccia nascere C.

Ma poi è anche vero che ognuno di noi, pezzo unico, tende a potersi esprimere meglio là dove si sente realizzato. Così nella vita, così penso che sia anche in politica. Per questo trovo giusto che, ora che il bipolarismo si sta un po’ allargando e che una nuova forza entra in gioco, vengano rimessi in discussione anche gli equilibri che animano l’appartenenza e che ognuno cerchi quel posto dove potersi esprimere al meglio.

Chiudo ritrovando molto il mio pensiero nelle parole di Pietro Iachino, capostipite di questo tsunami che Monti ha fatto abbattere – fortunamente – sul mondo politico italico e che, io sono convinta, non possa che fare bene. Non appoggiarsi sulle certezze è faticoso, ma aiuta a crescere.

Il partito non può essere concepito come una chiesa; o come una famiglia a cui si appartiene dalla culla alla tomba. L’atteggiamento di chi mi chiama “transfugo”, o peggio cerca di squalificarmi moralmente come un
apostata, nasce da quella concezione del partito, davvero sbagliata. Nel 2008 Veltroni mi ha chiesto di portare in Parlamento, nelle file del Pd, le mie idee e proposte; ho accettato, assumendo un vincolo di disciplina di gruppo che ho sempre rispettato rigorosamente nel voto in Senato, anche dopo che il partito
ha cambiato linea nell’ottobre 2009, fino allo scioglimento della legislatura. Però contemporaneamente ho anche assunto l’impegno con i miei lettori ed elettori a continuare a dire sempre liberamente tutto quello che penso, fino in fondo, anche se in contrasto con quello che la disciplina di voto mi imponeva. Se oggi, cessato quel mandato parlamentare, vedo nascere una nuova formazione, che non è un partitino ma un polo a vocazione maggioritaria, che mi consente di conciliare meglio la disciplina di gruppo con le mie idee e proposte, perché mai dovrei sentirmi in colpa per il fatto di scegliere di continuare in questa formazione la mia battaglia nella nuova legislatura, chiedendo ai miei elettori un mandato specifico che legittimi questa mia scelta?