Nun ce la possiamo fà!

No, non è ancora riferito alla (disastrosa) situazione politica. Per quello ci vorrebbero mille post a parte.

Dialogo a cena.

Dani: Oggi è stata l'ultima data con numero binario (11-11-11, NDR)

Ale: Perché?

Franci:  Perché aveva perso il treno.

No. Nun ce la possiamo fa!

Vivere le domande

«Voi siete così giovane, così al di qua d'ogni inizio! Ed io vi vorrei pregarvi quanto posso, caro signore, di aver pazienza verso tutto ciò che non è ancora risolto nel vostro cuore, e di tentare di aver care le domande stesse come stanze serrate e libri scritti in una lingua molto straniera.

Non cercate ora risposte che non possono venirvi date perché non le potreste vivere. Di questo si tratta, di vivere tutto.

Vivete ora le domande. Forse v'insinuate così a poco a poco, senz'avvertirlo, a vivere un giorno lontano la risposta».

[R.M. Rilke, Lettere a un giovane poeta]

Un giorno allo SMAU

Giornata a Milano, allo SMAU.

Farà sorridere, ma pur essendo informatica non c'ero mai stata, e quindi è stata la mia prima volta, in compagnia del babbo e di un amico ex collega del babbo. Devo essere sincera, mi sentivo un po' come il primo giorno di scuola, l'idea di entrare finalmente in un "mondo" di cui hai sentito parlare tante volte ma che hai sempre visto un po' lontano, d'elite. 

Ad attenderci oggi c'era una tipica giornata milanese, nebbia, grigio. Si arriva al parcheggio, prendi la metro nel verso sbagliato, vai alla Fiera di Rho perché nessuno ha controllato sull'invito altrimenti avremmo scoperto che era nell'altra Fiera di Milano. E allora si riprende la metro, arrivi alla fermata giusta, quei 10 minuti a piedi che ti aiutano a scaldarti nella fredda giornata e finalmente si arriva. L'emozione di andare al totem, prendere il tuo biglietto, con il tuo bel nome stampato sopra, metterti il badge al collo … e finalmente incominci a girare tra i mille stand, Epson, IBM, Canon, Microsoft, Cisco … insomma, ci sono tutti (o quasi, visto che Apple si è fatta rappresentare e di Google traccia non c'è), grandi colossi e le piccole start-up più disparate.

Posso dirlo, oggi ho seguito qualche talk di Microsoft e un lab di Window Phone 7, pur non essendo una fan sfegata del mondo Microsoft e avendo in tasca da due settimane uno smartphone Android.

Ma è stato utile e ne ho ricavato, anche per contrasto, diverse considerazioni, visto che in un modo o nell'altro prima o poi mi piacerebbe, almeno sulla carta, entrare nel mondo dello sviluppo mobile oriented. Entro troppo nel "tecnico", ma la considerazione maggiore è stata che forse usare un Visual Studio può togliere da diverse rogne, può voler dire usare un ambiente di sviluppo magari super … ma se poi il mercato che tira è iOS piuttosto che Android, beh, forse può valer la pena sbattere di più la testa ma avere un mercato, che mi sembra in questo momento a WP manchi quasi del tutto. Bisognerà vedere come si stazionerà la cosa quando usciranno device Nokia con sistema Windows sopra.

Ma al di là di tutto, dei mille depliant portati a casa, oltre che a penne – peccato che alla fine della giornata i palloni da rugby della Dell fossero finiti – e gadgetini vari, sento che non è stata una giornata "persa". Tornando a casa pensavo che un giorno, se mai diventerò in qualche modo insegnante – sì, uno dei miei "sogni" è andare ad insegnare informatica – i miei alunni li porterò allo SMAU (sempre che esista ancora).

Perché non è solo una fiera di informatica, non è solo un posto dove lasciare che il proprio cervello venga stimolato in continuazione, dove seguire seminari e talk; è anche un posto di rapporti, di scambio di conoscenze, di interazione tra persone e le loro conoscenze.

No, non è stata una giornata "persa" a girare tra stand.

Rischiare senza misurare

Ebbene, credo che questo non sia il tempo dei calcolatori. Nemmeno quello dei prudenti. Credo che questo sia il tempo di chi sa rischiare senza misurare.

Ho tratto questa frase dalla lettera pubblicata su blog di Letizia De Torre, parlamentare, inviata ai suoi colleghi dell'opposizione (lettera che vi consiglio vivamente di andare a leggere e far girare se lo ritenete oppurtuno).

Ieri leggendo questa frase mi sono dovuta fermare un attimo. Calcolatori, prudenti, rischiare senza misurare. Sentivo che queste parole mi interpellavano, anche i punti e le virgole.

Quante volte mi sono messa a fare calcoli? Quante volte ho voluto essere prudente?

Vorrei, anzi, voglio cercare di cucirmele addosso, adesso, oggi, domani, sempre. Nel mio mio modo di vivere i rapporti con gli altri, nel mio modo di affrontare le cose. Forse non ci riuscirò, ma bisogna provarci, trovare un equilibrio per saper tenere i piedi ben radicati a terra e il cuore in cielo.

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Imparare a stupirsi

Un pomeriggio come tanti altri, che probabilmente si ripeterà tante altre volte, in effetti.

Tu a fare il tuo “lavoro”, solo che poi finisci per trovarti inconsapevolmente nel bel mezzo di un “ritorno” e guardandoti intorno senti il bisogno di imparare tante cose da quello che vedi nel modo d’essere di chi probabilmente, e non certo per la stanchezza del viaggio, in cuor suo vorrebbe non mettersi al centro della scena.

La semplicità dei rapporti, quel sapere stare al gioco, quel giusto ordine nelle cose, una buona dose di ironia… ma soprattutto: lo stupore.

Quello stupore davanti ad un biglietto trovato ad attenderti – no, non parlo di me – e che qualcuno ti ha fatto arrivare dalla Liguria recapitandolo al capotreno e che qualcun altro è andato a prendere dallo stesso capotreno in stazione a Torino, cose che alla mia mente ultra matematica potrebbero anche sembrare un po’ esagerate, ma da cui invece dovrei solo imparare perché – e di qui il senso dello stupore di chi si è sentita raccontare questa storia – raccontano di gesti concreti, che non mirano tanto alla forma ma alla sostanza delle cose.

Ecco, ieri sera tornando a casa speravo proprio questo: aver rimesso a fuoco questa voglia di non stancarmi in quello stupirsi dove pur tutto può essere ovvio.  E avere sempre voglia di stupire, e non con cose troppo ragionate, costruite. Così come vengono dal cuore.

E stamattina mi venivano in mente le parole di Jovanotti in una delle canzoni – forse non a caso – che più mi piace, “Fango”. C’è tutto.

ma l’unico pericolo che sento veramente

è quello di non riuscire più a sentire niente

il profumo dei fiori l’odore della città

il suono dei motorini il sapore della pizza

le lacrime di una mamma le idee di uno studente

gli incroci possibili in una piazza

di stare con le antenne alzate verso il cielo

io lo so che non sono solo

ps. Ci sarebbero tante cose da poter raccontare, è tanto che non scrivo più da queste parti e la vita è sempre molto creativa.  E chissà che non un giorno non ci riesca. Oggi volevo incastonare questo.

La “teologia” della bicicletta

To-BikeLo so, è un po' di tempo che non scrivo più su queste pagine, ma spero di riuscire a riprendere una certa frequenza nel farlo.

Oggi intanto primo uso del "TO-Bike", il bike-sharing di Torino. L'unica cosa, forse la prossima volta è bene evitare via Garibaldi, che non immaginavo così "piena" alle sei del pomeriggio…sarà per le scuole ancora chiuse?

Il titolo di questo post? Per due cose.

Per una storia che qualcuno chiamerebbe "centuplo". Nei miei mesi castellani una delle cose che ho sofferto di più è stato non poter usare una bici (e non per scelta mia), prendere, andare, "volare". E oggi alle prime pedalate ho ripensato che in fondo è vero: per 9 mesi ho "perso" la bici, ma ora quando sarò a Torino, piogge permettendo, sarà il mio mezzo di spostamento, con in più la comodità di non dover pensare al prima (forse soltanto incrociare le dita che nella stazione più vicino a te ci siano ancora bici!!), ma soprattutto al dopo della bici, visto che la prendi in una stazione, la lasci in un'altra stazione e il gioco è fatto.

E poi perché … sì, oggi mi veniva un po' da pensare che un giorno di questi potrei dire: "hai voluto la bicicletta? bene, ora pedala!"

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