Vi auguro di cadere

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Vi auguro di fallire, di sbagliare, di aver torto, di cadere.
Ve lo auguro non perché sia bello, non perchè non abbia delle conseguenze morali, economiche, nella fiducia, in voi stessi o dagli altri.

Ve lo auguro, almeno una volta, perché insegna che ogni caduta, anche quella in cui sembra di aver toccato il fondo, è il modo per raccogliere qualcosa.
Ve lo auguro perché nel fondo dei nostri sbagli hanno messo la forza di guardare i giri strani che la vita ci propone e trovargli un senso. Hanno messo dentro la carezza di chi ci ama e la forza di ricominciare e di rialzarci.
Ve lo auguro perché, senza questi sbagli, non sareste voi.

Solo chi ha sbagliato e chi è caduto, in fondo, ha conosciuto la vera Vita.

Una manina che salutava

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Ero in macchina, ferma al semaforo. Rosso appena scattato.
Quante volte quei 30 secondi diventano l’occasione per prendere in mano lo smartphone e viaggiare in una dimensione altra?
Ultimamente però mi sforzo per approfittare di quegli istanti per osservare.

Ero nella corsia centrale e mi sono girata e guardata intorno.
A destra. Boh, non ricordo.
A sinistra c’era una macchina verde scuro. Lui, la moglie affianco. Dietro due bimbi. Una scena normalissima.
Io intanto chiusa dentro la seicentina cantando, per scacciare il grigiore che a volte si ruba le mie giornate. Come stavo per raddrizzare la testa sulla strada che avevo davanti, ecco che dal finestrino posteriore spunta una manina.
Due occhi grandi di una bella bimba mi guardano e la sua mano incomincia, prima lievemente e poi con più decisione, a sventolare: mi guarda, sorride e mi saluta.
Rimango sorpresa, stupita. Accenno anche io ad un sorriso, alzo la mano e la sventolo, per ricambiare il saluto.
La bimba si ritira sul sedile con quella tipica faccia dei bambini che, ‘colpiti’, si vergognano. Il fratellino le fa segno di smettere (chissà che non le abbia detto che non si salutano gli sconosciuti).
Dopo qualche secondo ecco di nuovo riemergere quella testolina. Mi guarda, ci guardiamo. Il mio sorriso si allarga sempre di più.
Scatta il verde, ingrano la prima e parto. Il padre al volante fa lo stesso. Pochi metri e siamo di nuovo fermi, anche se so che il semaforo scatterà da lì a qualche istante.
Il padre parte più veloce, questa volta, ma la bimba ha ancora il tempo di avvicinarsi al finestrino e salutarmi.
Ho pensato tutto il viaggio a quella bambina, a quella manina che mi salutava, chissà per quali oscuri meriti.
Ma i bambini sono così.

Non perdiamolo mai, quello stupore davanti alle carezze che arrivano nei modi e nei momenti più inaspettati.

Un eterno, ricominciare

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No, il mio non è stato un anno meraviglioso, come leggo sulle bacheche di Facebook di tanti miei amici.

Siamo più deboli ogni giorno ed incapaci di vedere pacifisti non per scelta
e impauriti dal dolore,
nemici di noi stessi chiusi in casa ad aspettare
che fuori cambia il mondo
ma senza intervenire.

Non è la soluzione esatta di questo passo non cambieremo mai, non ci alzeremo mai,
se non muoviamo un passo verso il paradiso
non verrà da noi,
così mai certezze non ne hai e inutile apettare gli altri quando sai che tutto comincia se lo vuoi¹.

Non c’è un motivo in particolare, è stato in tutto il  suo insieme un anno faticoso. Un anno dove ho sperimentato a volte la solitudine, dove a volte non vedendo tornare niente indietro mi sono chiesta quanto davvero tutto il mio “fare” avesse costruito qualcosa, nei rapporti.

E’ stato un anno in cui mi sono scontrata più di una volta con la difficoltà di mettere insieme gli ideali di vita e la nuda e cruda realtà di quello che sono, di quello che siamo.

Ma, nonostante, e anzi, forse per questo, dico grazie lo stesso a questo anno che finisce. Perché ha segnato, in modo marcato, tante cose nel mio cuore e nella mia testa.
Non che siano mancati i momenti belli, le risate, i sorrisi, gli abbracci. Parole di stima sussurate in un orecchio nel primo caldo di giugno, i risultati nello studio. Amici vicini, e forse più quelli “lontani”, che sanno esserci. Persone speciali che nella loro estrema e infinita delicatezza sanno ascoltare e comprende anche quello che non dici o non sai dire perché nemmeno tu, fino a quel momento, l’avevi compreso davvero. E loro riescono a tirartelo fuori così … con un banale sms, a volte.

Tanti giri a vuoto, tante occasioni perse. Tante immagini confuse, alcuni altri momenti che gli occhi hanno impresso senza il bisogno di una macchina fotografica per poterli ritirare fuori, più nitidi di uno scatto.

C’è tanto in questo 2014. Ma non voglio farne un bilancio. Sono convinta che ogni anno non possa essere un capitolo a parte della propria vita. Tutto concorre a farci essere quello che siamo, come siamo. E come saremo.

Non avevo propositi e non ne farò per il 2015: il mio cuore sa di cosa c’è bisogno senza doverlo scrivere qui.
Ma so anche che, qualsiasi cosa sarà il 2015, non potrà che esserlo così proprio perché così è stato il 2014. E dovrà saperne esserne riconoscente

Sento forte una parola, che vorrei fosse il trede union tra il punto di arrivo e di partenza che il calendario ci impone, ma che non voglio vivere come tale. #Ricominciare.

Ricominciare con gli altri. Ma sopratutto ricomincare con me stessa. Alzarmi, svegliarmi dal torpore, da quella posizione dove può venire la tentazione di maledire la vita, che non ci risparmia mai nulla. Neppure domande che paiono senza risposta, o a cui per rispondere bisogna dar fondo a tutte le risorse possibili per non credere che le risposte siano confezionate.

Per poter un giorno accendere di nuovo lo stereo e poter urlare, a squarciagola

In questa stanza
Che m’ha insegnato un sogno
Che m’ha donato un senso
Oggi ci son solo
Immagini d’un tempo

Le storie del passato scandiscono l’inverno
Di un anno ormai ghiacciato
Di un io che oggi non c’è

In questo intenso
Lungo e denso anno
Insonne ma deciso
Ho perso e condiviso
Le chiavi del destino

Le scelte fatte un tempo
Son giunte a compimento
E’ il Cielo che difende
La svolta che c’è in me

Oggi decido io
Oggi sono cambiato
Oggi è un giorno mio
Vivo tutto d’un fiato
Sento il mio coraggio
Non faccio un passo indietro
Oggi sono salvo
Sono il mio nuovo me

Il vuoto d’amicizie sorpassate
Da facce oggi cambiate
Da sogni che son vinti
O che hanno vinto me
Gl’intenti che oggi sento
Illuminano il volto
E guidano il mio meglio
A credere che c’è²

Buon Anno. Davvero, che sia un eterno ricominciare

1 – L’alba che vuoi – The Sun
2- Non ho paura – The Sun

Stato

L’anima balbettante

Oggi pensavo: vorrei tanto anche io alzare gli occhi e trovarmi un cartello con una scritta che mi faccia ricordare … che ci sei.

E adesso, guardando fuori, ho visto uno spettacolo di colori.
L’azzurro, il celeste, l’arancione, il rosso, un po’ di giallo, il violetto, il viole, il rosa … mi sembra di vederle tutte quelle sfumature che dipingono il cielo in un’armonia che sembra suonare.

E no, non ho fatto nessuna foto da pubblicare qui sopra. Ho deciso che l’avrei guardato, a lungo. Che l’unica macchina fotografica sarebbero stati i miei occhi. E l’unica pellicola, l’anima balbettante.

Non ho visto il cartello. Ma ho visto che nuvole arrivano, scaricano. E poi, prima o poi, se ne vanno. E quando se ne vanno, l’armonia che rimane in cielo ripaga dello scroscio e di quel grigio che ha imbrigliato il cielo.

Farsi amico Whatsapp: 9 trucchi e segreti per sopravviverne all’uso!

Whatsapp-Status1Whatsapp è quello strumento che ormai quasi tutti usiamo per tenerci in contatto con le persone, in ogni parte del mondo, croce e delizia dei nostri rapporti e della nostra comunicazione “istantanea” (a volte forse anche troppo).
So che esistono già migliaia di post in giro per il web che parlano di queste cose ma … ho provato a raccogliere qui alcuni piccoli trucchi-suggerimenti pensando a quegli amici che magari non passano le ore a scandagliare il web e a cui qualche piccolo trucco può tornare utile nell’utilizzo quotidiano di Whatsapp. Per farselo diventare amico, visto che ormai in tante realtà sembra non se ne possa prescindere. Elenco in ordine di “utilità” secondo la sottoscritta.

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Rallentare il passo

la-poesia-dei-piedi-L-ChucqqIeri, presa la chitarra, stavo andando verso il punto di ritrovo quando ho visto arrivare Elisabetta, che probabilmente era appena uscita dalla Metro. Mi sono fermata per aspettarla per fare quel pezzo di strada insieme, visto che andavamo nello stesso posto.
Betta è un’amica speciale, per tanti motivi, ma anche perchè combatte ogni giorno con un problema fisico che non le permette di camminare con facilità.
Ci siamo incamminate verso il punto dove avremmo trovato il resto della banda.
Mentre facevo la strada con lei, cercando per una volta di dimenticarmi il mio passo sostenuto da universitaria, mi è tornata in mente una frase che fa capolino spesso nei miei pensieri, che mi piace tanto e che tutte le volte che la leggo – e sono tante – richiede in me una conversione:

(…) rallentare il passo per camminare insieme convinta che ero io ad averne bisogno (…)
(da “Oltre il velo nel cuore del Pakistan” di D.Bignone)

Una frase che ho sempre trovato illuminante, e che forse a volte però ho cercato di far mia solo per “inerzia”, perché fidandomi di chi l’aveva scritta, sapevo essere vera. Ma un conto è cercare di  farla propria, un altro è poi viverla.

Ecco. Ieri mentre camminavo con Betta, pur immersa nella mia stanchezza e con il cervello un poco annebbiato, forse per la prima volta “ho capito” profondamente il senso di questa frase perché era quello che stavo vivendo.

Si. Perché anche ieri rallentare il mio passo era una cosa che veniva prima di tutto in mio vantaggio e di cui io avevo bisogno: per poter guardare Betta negli occhi mentre parlava, per poter non perdere un filo delle cose che mi diceva, per poter allungare la mano ci fosse stato bisogno di un aiuto per circumnavigare un ostacolo. Se avessi fatto solo un passo in più, se non avessi rallentato, quante cose che mi sarei persa!

Mi sono gustata questa (ri)scoperta, nella ricaduta pratica di quel momento ma sopratutto pensando a quel camminare più grande che è la Vita. Mi sono venuti in mente tanti momenti e tante situazione dove invece che aspettare ho accellerato il passo. Mi è venuta la paura di non essere sempre capace di ripetere questo “rallentare” con le persone che la vita mi mette accanto ogni giorno o anche solo per una volta.

Ma mi è venuta anche una grande voglia di provarci. Di cadere quando non ne sarò capace. E di riprovarci ancora.
Convinta, per davvero, che sono io, ad averne bisogno.

 

 

In mezzo al fango di Genova

Riporto le parole di un amico genovese che racconta la sua esperienza in prima persona in questi giorni di emergenza nella sua città.
A me han fatto bene al cuore. Pur da spettatrice lontana, mi hanno fatto commuovere e riacceso una fiammella della speranza.
I genovesi sono forti, supereranno anche questa!

Non sono né un grande oratore tantomeno uno scrittore, ma vorrei esprimere con due parole quanto ho vissuto in prima persona in quest’alluvione del 09/10/2014 a Genova.
Questa volta sono stato “toccato” anch’io dall’acqua fuoriuscita dal Bisagno intorno alla mezzanotte di quel giovedì ormai famoso; a qualche centinaio di metri da Borgo Incrociati, ho il box sotto il livello della strada con dentro la macchina nuova di due anni (una VW Touran) … e vi lascio immaginare.
Ho vissuto tutto con estrema serenità e consapevolezza, al di là del fatto che non fosse stato diramata l’allerta meteo, al di là del fatto che le istituzioni… al di là del fatto che… grazie alla vicinanza di tanti amici vicini e lontani, che mi hanno sostenuto con le loro parole e la loro vicinanza.
Questa mattina (sabato 11/10) alle nove, i miei due figli sono usciti con stivali e KeyWay per dare una mano a chi ne avesse avuto bisogno. Alle 15,00 ero in giro con lo scooter per fare due spese e piangevo la desolazione di chi aveva perso, non una macchina, ma il negozio, l’attività commerciale, il proprio sostentamento quotidiano. Ma ho anche visto gente che, con l’odio negli occhi e nella voce, malediva le istituzioni, il comune, la protezione civile… mugugni che si sarebbero tramutati in violenza se solo c’era la possibilità di metterla in atto. Odio… e tristezza.
Al rientro ho visto che l’acqua dal garage era stata pompata via tutta e si poteva cominciare a pulire. Sono sceso al box con mia moglie per valutare i danni e cominciare a pulire; in un’ora avevamo finito tutto!Una manciata di ragazzi ci hanno dato una mano, Angeli (del fango li chiamano, ma per me sono del Paradiso!) in silenzio , con la dignità dell’eroe anonimo, hanno pulito, sgomberato, senza una parola di condanna, di critica, di rabbia, solo con lo sguardo limpido in netto contrasto del fango che ci circondava, hanno risolto la nostra situazione. Mentre con loro spingevo via l’acqua sporca, sudando come mio solito, insieme al sudore si mescolavano le lacrime di commozione che mi scendevano copiose… non ho mai dubitato dei miracoli e oggi l’ho vissuto con loro e grazie a loro!
Finito il lavoro, un breve saluto ed erano dall’altro box.
Questa è Genova che spera, che crede in un futuro vero e reale, è l’Italia (si, perché sono venuti da fuori regione e in tanti) che può risollevarsi, perché vive, ama e spera senza calcoli, senza tornaconti, senza mugugni… Questo è il mondo che ho sognato da giovane e che sogno ancora, è l’unica realtà che vale la pena d’essere vissuta e per cui combattere.
Grazie ragazzi!!!
Manuel

Pietra
Digressione

#InVersioneFilosofica – Bianco o nero?

C’è una cosa che faccio tanta difficoltà a capire:
perché mai se io “critico” una cosa questo vuol dire automaticamente che stia sostenendo per forza la sua opposta? Ma possibile che debba essere tutto bianco o nero? – ma nel calcio sì, però 😛
Possibile che non esistano le sfumature, le vie di mezzo in cui stare?
Possibile che tutto debba essere estremo, “o con me o contro di me”?

Perché mai se “critico” un partito politico vuol dire che obbligatoriamente appartenga ad un altro?
Perché mai se dico che non mi piace il bianco debba essere automatico che mi piaccia il nero – uso questo esempio per esemplificare tutte le possibili casistiche?

E’ una cosa che mi capita spesso nei rapporti con le persone e che ultimamente davvero mi mette in discussione: è davvero impossibile poter conciliare posizioni senza essere tacciata di mancanza di coerenza? E soprattutto, cosa vuol dire, coerenza?

Devi fare sempre la tua parte

E così anche tu te ne sei andato.
Faletti è stato il mio professore di musica, e prima e dopo di me ha visto crescere generazioni e generazioni di ragazzi del mio paesino. Una figura riconoscibile a distanza, con quel bastone a fargli sempre compagnia. La sigaretta all’intervallo. E poi uno degli ultimi ad andare via sfrecciando sulla tua Opel parcheggiata nel cortile. E il mito di questo prof che quando non era a scuola andava a suonare il contrabbasso con i suoi amici.

Vincenzo Faletti, amante della buona musica, persona comprensiva e il giusto severa. Un insegnante che non si limitava a trasmettere nozioni, ma che ti faceva amare la sua materia, trasmetteva la passione per il Bello.

Un Prof che amava e sapeva farci esprimere per quello che eravamo, a costo di doversi sorbire Laura Pausini o Alex Britti nella sua versione più ‘commerciale’…si, dicevi che il primo disco ok, ma poi si era impoverito un sacco.

Ho in mente ora un’immagine: nell’aula di musica accampata alla belle e meglio in un locale adatto tutto fuorché a fare musica, mi interrogò sul jazz e mi diede insufficiente, a me che ero una che a scuola se l’era sempre cavata egregiamente. E mentre me lo dava, mi guardò negli occhi e mi disse: “Daniela, io lo so che sei brava. Ti avrei potuto dare un quasi sufficiente, ma oggi voglio insegnarti che non puoi appoggiarti al tuo sapere o alla tua memoria: devi fare sempre la tua parte”. Una lezione.

Stacco gli occhi dal computer e guardo là, nella mia stanza. Nell’angolo c’è la mia chitarra storica, proprio quella che tu mi hai insegnato ad accordare, che tu mi hai insegnato a suonare, ad amare. Ci abbiamo suonato tante cose, insieme, nel laboratorio di chitarra. Mi avevi insegnato a suonarci “Albachiara”, quasi fosse un basso. Poi il flauto. Te-e-e-e. Ta-ta-te-e-e-e. Qunate volte ci hai fatto leggere la musica!
Ho tante immagini adesso davanti, con la riconoscenza di poter essere stata tua alunna. Di aver imparato anche attraverso di te ad apprezzare la buona musica. E di essere cresciuta come persona, di aver imparato ad apprezzare e valorizzare le cose per quello che sono, non per quello che vorremmo che fossero.

Ripenso a tante cose, alle risate quando un mio compagno diceva al registratore che usavamo per fare ascolto: “si può fermare?”, pensando che era lei a leggere. Ti piaceva divertirci, raccontarci barzellette. E poi quando era necessario diventavi serissimo.

Ma, il primo pensiero che mi è venuto sapendo che da adesso sarai a suonare il tuo contrabbasso Lassù in cielo è stato per una cosa che mi avevi confidato, e che tante volte nella vita mi è tornata in mente. Una volta, mentre facevamo laboratorio di chitarra, non so come mai, eravamo arrivati a parlare di amicizia. E mi avevi detto che una delle cose che angustiava della vita era l’idea che l’amicizia non sempre è “per sempre”, che poi arriva la lontananza fisica, non ci si sente più per tanto tempo. Che bisogna vivere bene le cose che abbiamo perché non sappiamo se domani le avremo ancora. Forse è per questo che non amavi troppo Pat Metheny, era troppo malinconico, dicevi.
E’ una cosa, questa, che mi è tornata spesso in mente, in tante occasioni. E che mi è sempre servita molto per cercare di vivere al meglio quello che mi trovavo ad affrontare, i rapporti con le persone più care.

Ciao Vincenzo. Il suono del Cielo stasera sarà più melodioso che mai.

Michele M. su facebook scrive un post divertente, malinconico e ironico al punto giusto:
“Te, tatta te, te, te, tatta te…ragazzi voi provate un attimo che il prof. Vincenzo Faletti è uscito solo un secondo per farsi una sigaretta.”

Lettera aperta di una studentessa universitaria a @matteorenzi e @SteGiannini

Cari Matteo e Stefania,
sono una studentessa di Torino, iscritta al secondo anno del corso magistrale Comunicazione e Cultura dei media.

Ho scelto di riprendere gli studi dopo 3 anni dalla mia laurea triennale in Informatica, dopo aver lavorato, essere stata in cassa integrazione ed essere stata licenziata – quante esperienze per una 25 enne! – scegliendo questo corso perché sentivo la necessità di formarmi accademicamente in materie umaniste, dopo tanto contatto con computer, bit e tecnica. Perché sentivo la necessità di sapere cosa è l’uomo, di avere strumenti per saper guardare all’ambito che tanto amo, la comunicazione,  da una prospettiva che metta al centro l’uomo.
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