Win-win strategy

ping-pongIl “dibattito” politico – sempre che così si possa chiamare – di questi giorni, ma in generale di un lungo periodo a questa parte, mi sta proprio dando la nausa. E me la dà per tutta una serie di motivi che però non sto qui ad elencare.

“Tu che mi provochi / io che mi vendico / ti pesto i piedi / ti rodi il fegato / un’escalation di torti / se prendo quel che è tuo distruggi quel che è mio / se mandi i fulmini ti mando al diavolo … ma non mi tornano i conti”

Ecco. Mi sembra si sia arrivati ad un punto di non ritorno. Dispetti, dispettucci, ripicche, “hai cominciato tu”, “no, tu hai continuato”, “eh, ma siamo stati provocati”,  mani che si alzano, insulti gratuiti, quelli che si approfittano per fare i loro interessi e sembra lo facciano apposta, interviste con domande fuori luogo, gente messa alla gogna mediatica solleticando i bassi istinti dell’uomo, e se lo faccio io va bene, se lo fai tu no … la lista sarebbe davvero troppo lunga!  E poi magari andiamo anche alle manifestazioni contro la guerra … ma questa non è una guerra? Mi piace, nel nuovo arrangiamento di questa canzone di cui state leggendo alcune strofe, lo “sfogo” che produce questo continuo conflitto: “Dacci un taglio!”

“Spezzano il filo e allora tu riannodalo / guardano storto e allora tu sorridi / è la vendetta perfetta”

Io mi sto stufando. Mi sento nauseata da tutto questo al punto che non voglio sapere di chi è la colpa, di chi ha cominciato prima. Perché la colpa sarà un po’ di uno e un po’ dell’altro, nessuno se ne può tirare fuori.
Io adesso vorrei soltanto sapere chi ha il coraggio di mettere da parte l’orgoglio per fare il primo passo.
Si, cari politici tutti, azzurri, rossi, verdi, gialli, arancioni, rosa …
Abbiamo bisogno di qualcuno che faccia il primo passo, che, al di là di tutto, sappia costruire e non distruggere, sappia mettere sincerità dove ha messo imbroglio, sappia dialogare e non urlare, sappia togliere le pietre dal muro invece che continuare ad accumularle. A costo di dover “perdere” qualcosa. A costo di venirsi incontro. A costo di ascoltare, a costo di camminare nelle scarpe dell’altro e accorgersi che forse non sono poi così tanto comode.

Io, il mio voto, alle prossime elezioni lo darò a chi saprà ORA darci un taglio, a chi ORA farà il primo passo per invertire questo triste spettacolo e che sappia spezzare questo infinito circolo vizioso in cui ci piace ficcarci, tutti quanti.

“Ma mi hanno detto di una nuova tattica / che non è facile ma in poche mosse da / lo scacco matto ai dispetti / La chiamano così win-win strategy / si vince insieme qui / non paga il muro contro muro! A chi tocca non so / questa volta farà gol / chi per primo comincia a cambiare / chi nel muro vedrà una porta e l’aprirà / forse è poco ma / avrà meno buio nel cuore / A chi tocca non so / questa volta farà gol / chi per primo comincia a cambiare / e dal muro che c’è una pietra toglierà ogni gesto che sa spalancare il cuore”

Le citazioni sono di Win-win strategy, canzone del Genverde che ho preso a prestito e che mi ha dato il senso di “nausa” percepita in questi giorni.

Se tutti facessero così

Mano tesa Una storia vera, accaduta ieri a Roma. Nelle parole di chi l’ha vissuta in prima persona.
Mi piace, questo mondo!

Il mio autobus sta arrivando, ma io sono ancora dall’altra parte della strada. Attraverso di corsa. Ho bisogno di prendere QUELL’autobus. Devo arrivare puntuale. Raggiungo il bus alla fermata. Ha già chiuso le porte. “Busso” al conducente che mi guarda e parte. Un signora dalla sua 500 ha visto la scena. Si ferma e mi dice: “vieni su, lo raggiungiamo 4 fermate più avanti”. Accetto e salgo. È una donna non italiana, dall’aspetto molto “materno”. Nei 5 minuti insieme, condivide con me la sua macchina e anche i suoi dolori: un figlio “costretto” ad emigrare in Australia per trovare lavoro e una figlia che ha studiato tanto (due lauree), ma non trova lavoro. Vuole sapere di me. In breve le racconto l’anima di ciò sono oggi…e siamo già alla fermata del bus. Prima di scendere la ringrazio e le assicuro le mie preghiere per lei e per la sua famiglia e lei fa lo stesso. La ringrazio ancora e le dico che lei oggi è stata un angelo per me, e lei mi dice: SE TUTTI FACESSERO COSÌ IL MONDO SAREBBE PIÙ BELLO!
… e ora sto arrivando puntuale all’università, con le lacrime agli occhi, felice di aver incontrato l’amore più puro, quello che – anche nel dolore – ama per primo, ama tutti, costruisce una nuova umanità.

(di Andreas Virdis, dal suo profilo Facebook)

Un pezzo di pizza

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Vi ricordate la mia amica D.?
Oggi ne ha combinata un’altra.

Quando riesce alla mattina va a salutare un ‘amico’ in pieno centro, a Torino.
Stamattina, mentre usciva, al cancello c’era un signore che mendicava.
Lui stava lì, accovacciato e quasi nascosto da una pianta, chiedendo una moneta. Ma è sempre una storia molto complicata il rapporto con chi mendica. E spesso D. si trova in queste situazioni con un grosso peso nel cuore.
D. gli ha fatto un sorriso e gli augurato buona giornata. Già superare il muro dell’indifferenza è un buon punto di partenza.

Ma poi un pensiero: oggi per pranzo da casa si era presa della pizza. Perché non condividerne un pezzo con lui?
D. non ha voluto nemmeno ascoltarla, quella vicina sottile che provava a dissuaderla.
Ha aperto lo zaino e ha preso, dei due che aveva con sè, il più grosso dei pezzi di pizza.
E gliel’ha porto.
Ha ricevuto in cambio un sorriso e un grazie commosso di quella mano tesa che aspettava da lei una moneta.

Date e vi sarà dato

SpigheUn’amica, che chiameremo D., mi ha permesso di raccontare la sua esperienza.

Lei è una 25enne, per adesso informatica, un po’ fissata con una vita che si possa equilibrare tra i piedi ben piantati a terra con le cose ‘dai tetti in sù‘.
Direi che potrebbe quasi quasi esser la mia, di descrizione.

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Ciao Prof.

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Mentre l’Italia è alle prese con le sue beghe, il mondo, quello di tutti i giorni, continua a scorrere.

E a volte basta aprire casualmente Facebook per riprendere contatto con una realtà che ti ancora con i piedi per terra. Anzi, che ti rimette in cuore la necessità ogni tanto di alzare lo sguardo.

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Scusa

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Ieri sono passata a ricaricare la tessera del ToBike.
Nel piccolo ufficio, incastonato nelle viuzze del centro, c’era un po’ di coda.
Chi si abbonava per la prima volta, un nonno che rinnovava, come regalo, l’abbonamento del nipote…

Mi sono messa pazientemente in coda aspettando il mio turno.
Entrata nell’ufficio aspettavo in piedi quando è arrivato un ragazzo e in modo un po’ sgarbato mi ha chiesto se mi vedevo.
‘No, siediti pure tu’. Lui stava lì e si vedeva che era un po’ agitato.
Nel cuore mi è venuto il pensiero di lasciargli il mio posto anche nella fila ma poi…ma poi è arrivato il mio turno e, scacciato il pensiero mi sono seduta alla scrivania dove in fondo dovevo dare soltanto i miei 20 euro, prendere la ricevuta e andarmene.
La ragazza che stava davanti a me ha ripreso il ragazzo, reo di non dare un buon esempio lasciando la ToBike con cui era arrivata ‘parcheggiata’ lì davanti.
La risposta del ragazzo è stata stizzita.
Io nel frattempo assistevano alla scena con un senso di inadeguatezza in cuore: ‘perché ho visto che aveva fretta e non l’ho fatto passare? Perché sono stata così egoista?‘.
Il tempo di finire la domanda che, finita la mia pratica, mi ero già alzata, il più veloce possibile.

A volte perdonarsi è più difficile che perdonare. Uscita dall’ufficio sono rimasta lì sola con il mio pensiero e il desiderio di poter rimediare a quella mancanza.
Già, ma come?
Ho infocarto la bici e mi sono messa a pedalare verso il capolinea del bus, per lasciare la bici allo stallo, uno dei punti di bici più ambito della città, e tornare a casa.

Arrivo, faccio per incastrare la bici che mi si avvicina un ragazzo, che avevo intravisto armeggiare con l’unica bici disponibile. ‘È il cielo che ti manda, l’altra bici non funziona!’.
Un sorriso. Rispondo al sorriso. Lui prende la bici, gli auguro buona serata. Parte e va. E io un po’ più sollevata, con un pensiero: forse anche quel giro in bici non è stato “a vuoto”.

Mentre aspettavo il bus ripensavo a quel ragazzo all’ufficio. Non so come ti chiami, non so perché eri agitato. Ma vorrei chiederti…scusa per non averti fatto passare davanti a me, per essermi fermata ad un pensiero e non averlo tradotto in azione.

A me che serva di lezione la prossima volta: se senti una cosa in cuore, Dani, rischia e falla.

(Foto di Davide F.)

Il regalo di Fal

Venditore in spiaggiaFal è un ragazzone di 27 anni del Senegal, dove vive la sua famiglia e dove torna una volta finita la stagione qui in Italia.

Tutti i giorni sulla spiaggia vende borse e borsellini ai bagnanti. E ogni notte dorme lì, in una piccola tenda arancione.

In mezzo al brulicare di bancarelle lo riconosci dal suo cappello giamaicano che usa per ripararsi dal sole.

Il mio papà in questi giorni ha fatto amicizia con lui e l’altra sera, quando abbiamo mangiato in spiaggia, è andato a dargli il suo panino.

È incredibile come a volte bastino poche parole, lo sforzo di capirsi nonostante si parlino lingue diverse, per creare un rapporto. Così finito l’ultimissimo bagno e l’ultimissimo sole, prima di partire siamo andati a salutarlo.
Papà non c’era, era a preparare le ultime cose e così gli abbiamo portato i suoi saluti.
Fel ci ha fermato, ha preso un sacchetto. Ha preso uno dei bei borsellini che vendeva, l’ha imbustato e ci ha detto: ‘Datelo al papà e ditegli: questo è il regalo di Fal’.

Sono rimasta di sasso, perché papà proprio in questi giorni aveva cercato nel mercatino sulla spiaggia un borsellino per sostituire il suo. Non so se lui lo sapesse, ma ho provato a dirgli che non era proprio il caso. Ma mi ha fatto capire che non potevo rifiutare il suo regalo.

Così l’ho ringraziato, ci siamo dati un cinque e noi abbiamo preso la strada del ritorno.

Su quei lunghi metri di spiaggia che separavano dal parcheggio dove ci aspettavano i genitori, non ho potuto far a meno di commuovermi, pensando al dono che portavo tra le mani, alla gratuità di quel gesto. Quel borsellino è il ‘pane’ di Fal e della sua famiglia. E lui, come ‘ringraziamento’ al papà che si era fermato a chiacchierare cn lui, glielo stava regalando.

Ho consegnato il sacchetto al papà, che ha provato a riportarlo a Fal.

Non so come sia andata, so solo che quel borsellino è stato in viaggio con noi verso casa.

A me importa raccontare del vero “regalo” di Fal, il suo grande cuore. Da cui tutti, io compresa e per prima, abbiamo molto da imparare.

Da riscoprire

Ramadan L’altro giorno accompagnavo la mamma a Porta Palazzo, quel luogo di Torino dove è difficile trovare un italiano, ma che ti fa fare il giro del mondo, specialmente in quello arabo e africano.

Un insieme di colori, di lingue, di storie. Ecco, quello che mi colpisce girando per la strada è quell’idea che dietro a quel volto che incrocio c’è una storia, una vita, gioie, dolori … chissà cosa. E questo a maggior ragione quando incrocio i volti di chi ne ha fatta di strada per arrivare fino a qui, Papa Francesco con la sua visita a Lampedusa ha cercato di ricordarcelo. E a me lunedì, ascoltando le sue parole, sono tornate in mente le storie di quei ragazzi africani conosciuti l’anno scorso nella loro “prigione dorata” e che ogni tanto mi ricapita di vedere camminare su un pericoloso cavalcavia verso la strada del ritorno dopo essere scesi dall’autobus.

In questo piccolo mondo che è Porta Palazzo si incontra gente simpatica, che scherza, che ride. E’, nella maggior parte dei casi, gente onesta, che controlla di darti il resto giusto, che se ti si rompe il sacchetto cerca subito un modo per sistemartelo, che se l’aiuti vuole darti a tutti i costi un peperone per sdebitarsi. L’altro giorno sentendo una signora parlare ho scoperto che in questi giorni alcuni di loro incominciano il Ramadan. E mi è venuta, da buona occidentale abituata a chiedersi tutto, una domanda: come faranno a stare tutto il giorno con il proprio banco di frutta e verdura sotto il naso senza poter mangiare?

E mi è venuto in evidenza subito quanto abbia da imparare sulla costanza, sulla “fedeltà”, sulla sacralità con cui vivono questo periodo dell’anno.

Valori da riscoprire, in una società che punta da tutt’altra parte. E’ bello scoprire che c’è sempre da imparare.